Di Marco CALDIROLI*
ABSTRACT
L’articolo analizza i diversi modelli ispettivi europei in materia di sicurezza e salute sul lavoro, confrontando le modalità di applicazione della direttiva quadro 391/1989 in vari paesi dell’Unione Europea e dello Spazio Economico Europeo. Partendo da una citazione di Franz Kafka, ispettore dell’INAIL austroungarico, l’autore evidenzia come le problematiche della sicurezza sul lavoro rimangano di drammatica attualità. Vengono esaminati approfonditamente i sistemi ispettivi di Francia, Germania, Spagna, Polonia, Svezia e Svizzera, evidenziando le diverse scelte organizzative: ispettorati centralizzati o locali, ispettori generalisti o specializzati, approcci sanzionatori o persuasivi. L’analisi si concentra particolarmente sul caso italiano, denunciando la progressiva erosione del modello territoriale partecipativo nato con la riforma sanitaria del 1978, caratterizzato dalla collaborazione tra ASL, lavoratori e loro rappresentanze. L’autore critica la recente centralizzazione attraverso l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, il drastico taglio del personale tecnico delle ASL, e l’introduzione del preavviso obbligatorio di 10 giorni per le ispezioni (D.lgs 103/2024). Viene sottolineata la contraddizione tra le esigenze di controllo rigorose e continuative richieste dall’OSHA europea e le politiche di definanziamento e depotenziamento degli organismi di vigilanza, particolarmente evidenti in Italia dove si è persa la dimensione partecipativa originaria che vedeva i lavoratori protagonisti attivi della propria sicurezza.
PAROLE CHIAVE
- Ispezioni sicurezza lavoro
- Direttiva europea 391/1989
- Modelli ispettivi europei
- OSHA europea
- Ispettorato Nazionale Lavoro
- Tecnici prevenzione ASL
- Riforma sanitaria 1978
- Partecipazione lavoratori
- Vigilanza luoghi lavoro
- Definanziamento prevenzione
«Sapessi che cosa mi tocca fare! Nei quattro distretti di mia competenza… la gente cade come ubriaca dalle armature, precipita dentro alle macchine, tutte le travi si ribaltano, tutte le scarpate si sgretolano, tutte le scale scivolano, ciò che si manda in alto precipita, e si cade dietro a ciò che si fa scendere. E quelle ragazze che nelle fabbriche di porcellane si buttano continuamente sulle scale con pile di stoviglie ti fanno venire il mal di capo» (Lettera di Frank Kafka a Max Brod, estate 1909).
La nota dell’impiegato ausiliario Franz Kafka, ispettore dell’Arbeiter-Unfall-Versicherungs-Anstalt fur das Konigreich Bohmen in Prag (l’INAIL austroungarico) è di piena attualità. Da parte di chi, come l’autore, si trova a svolgere indagini per infortuni la condizione lavorativa non appare significativamente modificata e l’attività dell’ispettore (oggi tecnico della prevenzione) sembra destinata a cercare di svuotare il mare con un secchio tanto più quando emerge un provvedimento (il dlgs 103/2024) che prevede un preavviso di 10 giorni alle imprese prima di una ispezione (previsione immediatamente definita inapplicabile per le ispezioni in materia di sicurezza e di regolarità contrattuale da parte dell’INAIL, mentre le regioni sono rimaste silenti) (1).
L’obiettivo della Unione Europea era ben diverso, come pure l’impostazione normativa italiana già dagli anni ’50.
DALLA DIRETTIVA 391/1989 AL DECRETO LEGISLATIVO 81/2008
La direttiva europea del 12.06.1989 n. 391 ha inaugurato la politica comunitaria sul “miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro”. Questo atto costituisce la “direttiva quadro”, a seguire sono state approvate ulteriori direttive (ad oggi 26) su specifici rischi lavorativi.
Si tratta di una direttiva “sociale” ovvero finalizzata prioritariamente al miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini/e europei. La maggior parte delle direttive e dei regolamenti hanno invece finalità “di mercato” ovvero garantire degli “standard” uguali per tutte le imprese nello spazio economico europeo (che è più ampio dei paesi aderenti alla Unione Europea includendo anche Islanda, Norvegia, Lichtenstein nonché, seppure indirettamente, la Svizzera). Per fare un esempio, le direttive europee sulle macchine (dentro il filone delle “direttive di prodotto”), pur contenendo degli standard di sicuro impatto sulle condizioni di lavoro, sono prioritariamente finalizzate alla “competizione” a pari condizioni dei soggetti economici nel libero mercato di macchine in Europa. Rispettare queste direttive significa comunque realizzare macchine con “essenziali” requisiti di sicurezza (un aggettivo che compare anche nel principale parametro di valutazione del Servizio Sanitario Nazionale: i Livelli Essenziali di Assistenza).
In Italia il recepimento della direttiva 391/1989 è avvenuto con il Dlgs 626/1994 che ha convissuto con la previgente normativa nazionale, il tutto è poi confluito nel vigente Dlgs 81/2008 più volte modificato, anche recentemente (e non sempre in meglio).
I principi e gli obiettivi di prevenzione sono sintetizzati, già nella direttiva originaria, come segue: «Il datore di lavoro mette in atto le misure previste …. basandosi sui seguenti principi generali di prevenzione:
a) evitare i rischi; b) valutare i rischi che non possono essere evitati; c) combattere i rischi alla fonte; d) adeguare il lavoro all’uomo, in particolare per quanto concerne la concezione dei posti di lavoro e la scelta delle attrezzature di lavoro e dei metodi di lavoro e di produzione, in particolare per attenuare il lavoro monotono e il lavoro ripetitivo e per ridurre gli effetti di questi lavori sulla salute. e) tener conto del grado di evoluzione della tecnica; f) sostituire ciò che è pericoloso con ciò che non è pericoloso o che è meno pericoloso; g) programmare la prevenzione, mirando ad un complesso coerente che integri nella medesima la tecnica, l’organizzazione del lavoro, le condizioni di lavoro, le relazioni sociali e l’influenza dei fattori dell’ambiente di lavoro; h) dare la priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale; i) impartire adeguate istruzioni ai lavoratori».
Potremmo ricordare, con buona pace delle associazioni imprenditoriali e di quei politici che si fanno promotori di quelle posizioni che possiamo sintetizzare nella richiesta di “scudo penale” per i datori di lavoro che “ce lo chiede (anche) l’Europa” di attribuire un ruolo di garanzia e quindi una responsabilità primaria ai datori di lavoro delle condizioni in cui fanno operare lavoratori e lavoratrici. (2)
Come tutte le direttive ogni Paese le applica con possibili varianti che tengono conto di caratteristiche nazionali, come gli istituti preposti e le modalità di controllo, il tipo e l’entità delle sanzioni “effettive, proporzionate e dissuasive”.
L’APPLICAZIONE DELLE DIRETTIVE UE SULLA SICUREZZA IN ALCUNI PAESI EUROPEI: GLI ORGANI DI VIGILANZA
Senza alcuna pretesa di completezza sono stati scelti alcuni paesi membri della UE e dello spazio economico europeo (SEE) per valutare le modalità di applicazione delle direttive UE sulla sicurezza e l’igiene sul lavoro con riferimento al modus operandi degli organi nazionali e/o locali di vigilanza.
Le scelte nazionali sul chi e come ha il compito di controllare l’applicazione delle direttive/norme nazionali in materia di sicurezza denota l’approccio al tema della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro. Inoltre queste scelte determinano anche la “distanza” tra istituzioni preposte e organizzazioni dei lavoratori/lavoratrici.
Tra i paesi UE abbiamo scelto come rappresentativi delle diverse realtà sociali, politiche e industriali: Francia, Germania, Spagna, Polonia, Svezia, tra i paesi SEE la Svizzera.
Ma prima un breve promemoria sulla situazione italiana.
Italia
Con la riforma sanitaria del 1978, su pressione dei movimenti sociali e dei sindacati, le principali competenze in tema di vigilanza sui luoghi di lavoro sono passate alle regioni tramite le USSL prima e oggi le ASL/AUSL/ATS. La scelta non è stata casuale ma rispecchiava la critica della modalità “ingessata” dell’Ispettorato del Lavoro, emanazione del Ministero del Lavoro, competente sia del controllo dei rapporti di lavoro che della sicurezza/salute nei luoghi di lavoro.
Il movimento operaio sempre più – allora – conscio del tipo di interventi necessari per il miglioramento delle condizioni lavorative (già espresse, oltre che nell’art. 41 della Costituzione, dall’art. 2087 del codice civile e dall’art. 9 dello Statuto dei diritti dei lavoratori, la legge 300/1970) chiedeva servizi pubblici più vicini e permeabili al protagonismo dei lavoratori/lavoratrici.
La riforma si è “installata” in un contesto in cui erano presenti anche altri enti “specializzati” in alcuni settori (FS per il “personale viaggiante” dei treni, il servizio minerario per cave e miniere, le capitanerie di porto per i porti ecc) oltre a specializzazioni su determinati rischi (radiazioni ionizzanti, incendi, rischi da incidenti rilevanti). L’Ispettorato del Lavoro ha mantenuto delle competenze “residuali” concorrenti con le ASL (vigilanza dei cantieri) in un sistema “arlecchino” che non ha giovato alla sicurezza non fosse che per lo sparpagliamento dei (pochi) ispettori e le difficoltà di coordinamento tra i diversi enti.
Con la istituzione dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro INL (operativo da inizio 2017) sono state accorpate le attività ispettive, sia di sicurezza del lavoro che dei diritti sociali e contrattuali, che erano dell’INPS, dell’INAIL e del Ministero del Lavoro (ex Direzioni Provinciali del Lavoro) spostando i relativi operatori. Anche a causa della riduzione del personale ispettivo regionale (ASL) e per mostrare una risposta “governativa” all’incremento degli infortuni, l’INL è oggetto sia di una estensione di competenze che a un incremento di personale ben più cospicuo di quello locale.
Evidente l’effetto “Tafazzi” delle Regioni: in ossequio alle direttive nazionali sulla riduzione del pubblico impiego (a partire dal decreto “Brunetta”) hanno tagliato “linearmente” senza considerare le diverse funzioni e la impossibilità (perlomeno al momento) di “esternalizzazione” attività come quelle della sicurezza sul lavoro. La “quota 101” con la spinta al pensionamento “anticipato” ha dato l’ultimo colpo interessando principalmente il pubblico impiego.
Non a caso sui siti europei, come quello dell’OSHA, nel presentare le singole realtà statali competenti in materia di sicurezza sul lavoro, le ASL italiane non vengono neppure citate e l’INL appare l’unico organismo nazionale.
Vi è inoltre da segnalare un apparente paradosso nelle modalità operative “centralizzate “(INL) rispetto a quelle regionalizzate (e da tempo “differenziate” in 21 servizi sanitari regionali e con servizi dedicati alla sicurezza sul lavoro spesso differenti anche da ASL ad ASL: la direzione dell’INL per garantire una attività omogenea sul territorio degli ispettori agisce con circolari e procedure operative che forniscono anche interpretazioni e chiarimenti generali per aspetti “oscuri” delle norme, in particolare quelle più recenti.
Nelle regioni nulla di confrontabile, a parte gli sforzi di gruppi di lavoro interregionali composti da tecnici della prevenzione che, per il resto, debbono per lo più “arrangiarsi” con la propria professionalità.
La programmazione e gli obiettivi dei servizi di prevenzione dei luoghi di lavoro regionali è definita all’interno del Piano Nazionale della Prevenzione in un capitolo dedicato. L’attuale Piano (2020-2025) identifica dei fattori di rischio considerati prioritari su cui agire quali: età dei lavoratori (da un lato anziani e dall’altro giovani con contratti precari e inadeguata o assenza di formazione); incremento delle aggressioni e alla violenza sui luoghi di lavoro; inadeguatezza ergonomica dei posti di lavoro e/o delle modalità di lavoro; sovraccarico biomeccanico da movimenti ripetuti; presenza di macchine non conformi o rese non conformi alle direttive europee. L’esposizione ad agenti fisici, chimici (incluso l’amianto), biologici e cancerogeni rimangono importanti fattori di infortuni e malattie professionali. Il Piano, oltre a far propri gli obiettivi del piano europeo, richiama alcune peculiarità italiane tra cui la necessità di far “funzionare” gli organismi previsti dalle norme nazionali per coordinare i diversi enti preposti e tra enti “centrali” e regionali.
Le regioni operano tramite “piani mirati di prevenzione” (PMP): «lo strumento in grado di organizzare in modo sinergico le attività di assistenza e di vigilanza alle imprese, per garantire trasparenza, equità e uniformità dell’azione pubblica e una maggiore consapevolezza da parte dei datori di lavoro dei rischi e delle conseguenze dovute al mancato rispetto delle norme di sicurezza, anche e soprattutto attraverso il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati per una crescita globale della cultura della sicurezza. Il PMP si configura come un modello territoriale partecipativo di assistenza e supporto alle imprese nella prevenzione dei rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro». (grassetto dell’autore).
Le variazioni locali avvengono secondo «un approccio proattivo dei Servizi ASL deputati alla tutela della salute e sicurezza del lavoratore, ossia orientato al supporto/assistenza alle imprese». In regioni come la Lombardia tale approccio viene spostato più sul ruolo di supporto (con labili confini rispetto alla consulenza – espresso coi termini di enforcement e empowerment) delle imprese per superare il “gap” … della attuazione delle norme di sicurezza e un ruolo della formazione dei lavoratori/lavoratrici espresso in una forma che considera gli stessi come degli adolescenti avventati da raddrizzare né si parla di sostegno dei lavoratori/lavoratrici e delle loro rappresentanze…
Francia
Il sistema francese per la prevenzione dei rischi professionali è suddiviso in diversi enti:
- il Ministero del lavoro definisce le politiche nazionali per la salute e la sicurezza sul lavoro e si avvale del Consiglio di orientamento per le condizioni di lavoro (COCT) quale punto di incontro nazionale tra le parti sociali. La vigilanza nelle aziende viene svolta da ispettori sotto la direzione dello stesso Ministero, strutturati su base regionale.
- Gli organismi di previdenza sociale (infortuni sul lavoro e malattie professionali) hanno competenze anche in materia di prevenzione degli infortuni, è gestito dalle parti sociali sono un’estensione dei sistemi di assicurazione contro gli infortuni e le malattie.
- Gli organismi di supporto scientifico, tecnico e/o medico di supporto. Il principale è l’Agenzia di sicurezza sanitaria dell’ambiente e del lavoro (ANSES) che concorre al miglioramento delle conoscenze in materia di prevenzione dei rischi professionali unitamente a quelli più generali di tutela dell’ambiente e dei consumatori. L’Agenzia nazionale per il miglioramento delle condizioni di lavoro (ANACT) suddivisa in 16 agenzie regionali, con un ruolo consultivo a favore delle imprese e per migliorare le condizioni di lavoro nell’ambito di azioni di “dialogo sociale”.
- Completano il “sistema” i servizi di medicina del lavoro (visite preassuntive e periodiche, contributo alle valutazioni delle condizioni di lavoro) a carico delle imprese.
Oltre alla struttura centralizzata vi è pertanto una suddivisione tra gli aspetti di sicurezza sui quali si interviene unitamente agli aspetti di regolarità contrattuale (ispettori generalisti) e quelli di carattere “sanitario” suddivisi tra competenze centralizzate e di medicina del lavoro non pubblica.
Germania
La Germania è caratterizzata da una struttura “duale”. Da un lato, le autorità statali dei Länder federali sono responsabili del controllo del rispetto delle norme in materia di sicurezza sul lavoro, tramite propri ispettori che svolgono sia attività di consulenza ai datori di lavoro che di erogazione di sanzioni per le violazioni.
D’altra parte, i gestori delle assicurazioni obbligatorie contro gli infortuni (UVT) operano in conformità con il Codice sociale VII con l’obiettivo di prevenire gli infortuni sul lavoro, le malattie professionali e i rischi per la salute sul lavoro, parallelamente ai compiti assicurativi tradizionali ovvero prestazioni assicurative, di indennizzo e di cura dopo infortuni sul lavoro o malattie professionali. Le assicurazioni contro gli infortuni emanano proprie regole di prevenzione in accordo con il governo federale e dei singoli stati federali.
I rispettivi ispettori (di enti pubblici da un lato e delle assicurazioni dall’altro) operano con diversi approcci dovuti alle differenti basi legali (normative di sicurezza sul lavoro da un lato e il codice sociale). Così l’ispettorato pubblico agisce principalmente con gli strumenti “repressivi” di carattere sanzionatorio in caso di violazioni, gli ispettori “assicurativi” intervengono principalmente con iniziative di sostegno al miglioramento da parte delle imprese (“counseling”).
Entrambe le organizzazioni collaborano tra loro nell’ambito delle azioni della Strategia comune tedesca per la salute e la sicurezza sul lavoro (GDA), ovvero con il “piano della prevenzione nazionale” mettendo a disposizione vicendevole i propri archivi digitali.
Il modello tedesco è sintetizzabile come un approccio “cogestionale” tra imprese, sindacati e organi di controllo. È stato per molto tempo messo a confronto con quello italiano ritenendolo più efficace per una minore incidenza di infortuni in Germania, gli studi più recenti segnalano difficoltà nel mantenere le prestazioni pregresse dovute, anche qui, a sottofinanziamento e riduzione del personale.
Un recente studio di OSHA riporta, tra l’altro, una realtà tedesca imprenditoriale simile a quella italiana: «La percezione prevalente (da parte delle imprese, nda) è che la sicurezza sul lavoro, sia vista come un onere burocratico o come un fattore di costo, piuttosto che come una componente essenziale di un ambiente di lavoro sano e produttivo. Questa percezione negativa può rendere più difficile l’attuazione delle misure e ridurre la motivazione delle aziende a promuovere attivamente la salute e la sicurezza dei propri lavoratori».
Quanto sopra nonostante che anche in Germania, come in Italia, l’obiettivo dichiarato dagli enti preposti è il controllo annuale di almeno il 5% delle imprese ogni anno, pertanto, mediamente, ogni impresa si “aspetta” un “controllo” (che non significa necessariamente una ispezione) ogni 20 anni.
Spagna
La Spagna si caratterizza per un servizio sanitario “Beveridge” ma non ha seguito la scelta italiana: i compiti di vigilanza sono attribuiti a un Ispettorato del lavoro e della previdenza sociale, quindi non dedicato alla sicurezza ma all’insieme delle condizioni di lavoro; la direzione è del corrispondente Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale (con varianti in relazione alle autonomie regionali come nel caso della Catalogna). L’istituto nazionale per la sicurezza e la salute sul lavoro (Instituto Nacional de Seguridad y Salud en el Trabajo) fornisce supporto scientifico e tecnico nelle attività di rapporto tra enti e impresa nella applicazione delle direttive (recepite con “decreti reali”) e definisce programmi e priorità per la prevenzione degli infortuni.
Svezia
Esempio di riferimento dello Stato sociale “dalla culla alla tomba”, in Svezia le competenze sono del Ministero del Lavoro e nello specifico della Agenzia svedese per l’ambiente di lavoro (SAWEE) cui competono anche interventi sulle condizioni di lavoro (es. orari). La SWEA emette ordinanze in materia e agisce sulla base di piani nazionali annuali approvati direttamente dal parlamento.
L’Agenzia è stata istituita nel 2018 e svolge i seguenti compiti:
- raccogliere, compilare e diffondere le conoscenze sul lavoro e sull’ambiente di lavoro acquisite mediante la ricerca;
- valutare e analizzare gli effetti delle riforme e delle iniziative pubbliche attuate;
- contribuire a individuare le lacune in termini di conoscenze e i settori in cui sono necessari miglioramenti e adottare iniziative pertinenti;
- tenere sotto osservazione e promuovere l’ampliamento delle conoscenze a livello nazionale e internazionale;
- monitorare e incoraggiare lo sviluppo di associazioni/organizzazioni per la salute sul lavoro.
La direzione generale delle condizioni del lavoro e della salute è responsabile della strategia, organizzazione, informazione, istruzione, formazione e ricerca, mentre l’ispettorato del lavoro (S.EP.E.) è l’ente incaricato dell’ispezione e dell’applicazione della legge sul lavoro.
Polonia
Il controllo è distribuito tra Ministero del Lavoro tramite l’Ispettorato Nazionale del lavoro (16 distretti territoriali), il Consiglio Nazionale per la protezione del lavoro e l’Ispettorato Nazionale Sanitario dipendente dal Ministero della salute che assomma compiti sia di salute pubblica sia di salute nei luoghi di lavoro. Si affianca a questi enti l’Ufficio Ispettivo Tecnico con compiti specifici sulle apparecchiature tecniche e le macchine (anche a livello di progettazione e produzione). Questo ufficio ha una funzione pubblica riconosciuta pur non essendo di natura pubblica.
L’Ispettorato Nazionale del lavoro ha sia i compiti del controllo della sicurezza e salute del lavoro che il rispetto delle norme contratturali, degli orari e più in generale dei diritti dei lavoratori (ispettori “generalisti”).
Vi è una programmazione nazionale e locale che focalizza «la sorveglianza sui settori e sui luoghi di lavoro specifici con il più alto livello di rischi professionali … Le ispezioni orientate ai problemi vengono effettuate in aree in cui vi è un notevole livello di violazioni legali o dove vi sono problemi che richiedono misure coordinate a livello nazionale». Una particolare forma di intervento è la “ispezione diagnostica” così strutturata: «Il primo sopralluogo serve principalmente a scopo di valutazione e consulenza, soprattutto nelle aziende di nuova costituzione o in quelle in cui il profilo aziendale è cambiato. Oltre a fornire informazioni e consulenza in materia di diritto del lavoro, gli ispettori del lavoro applicano anche misure legislative che variano a seconda della natura e delle cause effettive delle irregolarità individuate. La prima ispezione di un datore di lavoro viene condotta in modo tale che le informazioni sull’azienda, ottenute da un ispettore, contribuiscano a ottimizzare le ulteriori attività dell’ispettorato, comprese in particolare le misure preventive». Potremmo definirlo un approccio intermedio e graduale tra quello della “consulenza” e quello “normativo” ovvero volto alla verifica di assenza di violazioni. Approccio che, come si vedrà, appare quello “preferito” dall’OSHA.
Svizzera
Pur essendo al di fuori della UE ne condivide direttive e “spazi comuni” (SEE) per mantenere una presenza diretta nel mercato europeo. La Svizzera distingue due settori di prevenzione, ossia la “sicurezza sul lavoro” (infortuni e malattie professionali) e la “tutela della salute sul posto di lavoro” (problemi di salute legati interamente o in parte all’attività professionale e disturbi sul posto di lavoro). La ragione di tale suddivisione risiede nel fatto che tali settori sono disciplinati da leggi differenti. A livello federale e cantonale vi sono organi esecutivi diversi.
La politica preventiva viene definita dal SUVA (l’istituto di assicurazione contro gli infortuni, l’equivalente del nostro INAIL) e le ispezioni vengono condotte da ispettorati cantonali. Per le attività a maggiore rischio interviene direttamente il SUVA, per quelle considerate a minore rischio la competenza è di carattere locale. I due enti e le diverse realtà cantonali sono coordinate dalla Commissione Federale di Coordinamento per la sicurezza sul lavoro (EKAS).
Il SUVA in particolare ha il compito di definire “buone prassi e indirizzi” che intendono costituire un punto di riferimento per una corretta applicazione degli obblighi normativi per le aziende e punti di verifica per gli ispettori. Un sistema molto simile a quello nel quale operava Franz Kafka.
ISPETTORI ED ISPEZIONI NELL’EUROPA DI OGGI
L’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul lavoro (OSHA), a fronte di tali differenze nazionali rispetto all’obiettivo di una omogeneità di condizioni lavorative tramite l’applicazione delle direttive europee sulla sicurezza si è occupata di approfondire le conoscenze per individuare criticità che possono rallentare o impedire l’attuazione delle direttive (3).
Questa ricerca è stata condotta anche tramite comitati tecnici europei (Comitato degli Ispettori del Lavoro Senior – SLIC o Comitato degli alti responsabili dell’ispettorato del lavoro – CARIP) (4).
L’OSHA, a conclusione della sua analisi, ha suddiviso gli ispettorati in tre categorie in relazione ai compiti di attuazione/controllo dei principi delle direttive europee sulla sicurezza sul lavoro:
- Paesi nei quali vi è un unico ispettorato responsabile nella attuazione (monitoraggio, promozione e sviluppo delle iniziative) delle direttive europee: Danimarca, Finlandia, Irlanda, Olanda e Svezia.
- Paesi nei quali un unico ministero è responsabile della attuazione della direttiva ma si avvale di ispettorati differenti: Belgio, Estonia, Grecia;
- Paesi nei quali le funzioni sono distribuite in modo articolato tra ministeri e agenzie assicurative come in Francia e in Germania.
Aggiungiamo noi il quarto caso corrispondente all’Italia, non esplicitamente considerata in questa suddivisione, in cui formalmente un ministero (della salute) è incaricato della attuazione ma le attività ispettive sono distribuite tra due ministeri e le realtà regionali con ampia autonomia gestionale e organizzativa.
Inoltre, nella maggior parte dei paesi UE rischi settoriali o per tipologie di attività sono controllati da specifici ispettorati (rischio incendio, miniere, trasporto ferroviario ecc) come in Italia.
Potremmo individuare pertanto una prima suddivisione nel caso di un approccio centralizzato o locale. In realtà non vi è una netta suddivisione del genere, anche ove le funzioni di controllo sono sotto un ministero vi sono sempre attribuzioni, direttamente o indirettamente, delle attività da parte di enti locali, non solo in Italia.
Un’altra chiave di lettura tra i diversi paesi europei è l’impiego di ispettori generalisti (che si occupano di sicurezza come di rapporti e condizioni contrattuali di lavoro) o l’impiego di ispettori specializzati nei diversi aspetti.
Ulteriori differenze tra i paesi è l’approccio ispettivo sia in termini di definizione di obiettivi nazionali da adottare localmente (attraverso piani in cui si definiscono le priorità per gli anni successivi sia in termini di rischi che di caratteristiche delle imprese) sia tra un approccio “collaborativo” in cui l’ente pubblico “sostiene”, almeno inizialmente, un processo di adeguamento delle condizioni di lavoro e quello “repressivo” ovvero in cui l’ente pubblico principalmente si dedica alla verifica del rispetto delle norme e interviene con strumenti costrittivi, inclusi quelli sanzionatori e giudiziari.
Queste diverse caratteristiche compongono numerose varianti, la Commissione Europea non entra nel merito delle scelte dei singoli Paesi ma ha voluto cercare di valutare le modalità operative adottate rispetto all’efficacia dell’intervento ispettivo in relazione agli obiettivi delle direttive in materia di sicurezza.
Si tratta peraltro di temi non nuovi e che coinvolgono il “modus operandi” degli ispettori: il CARIP/SLIC rileva che la compresenza di funzioni ispettive relative alle condizioni contrattuali (prevenzione e sanzione del lavoro “nero”) e di quelle di sicurezza finisce per spostare l’attenzione principale sulle prime, mentre “l’efficacia delle ispezioni sul lavoro dipende in larga misura dalla competenza degli ispettori del lavoro e dalla loro capacità di svolgere tali ispezioni”. Considerazioni analoghe erano già espresse nella Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) n. 81 del 1947 (che seguiva la “raccomandazione” del 1923) aggiornata nel 1995 e rivista nel 2019 (5).

I diversi approcci si riverberano sul numero di ispettori “dedicati” alla sicurezza sul lavoro. Nella tabella 1 si riporta il numero degli ispettori in materia di sicurezza ufficialmente dichiarati da ogni autorità nazionale, il numero di imprese e il relativo rapporto ispettori/imprese per saggiarne la adeguatezza. Nelle statistiche europee, per l’Italia, vengono indicati solo gli ispettori “dedicati” dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, i tecnici di prevenzione delle ASL non vengono considerati, pertanto nella tabella si cercherà di integrare questo dato.
Per una visione “mondiale” si può consultare il sito statistico della Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) su https://ilostat.ilo.org/blog/safety-in-numbers-what-labour-inspection-data-tells-us/#:~:text=Labour%20inspectors%20are%20fundamental%20to%20a
ILOSTAT segnala che tra il 2009 e il 2022 il numero degli ispettori è diminuito in 32 paesi su 75 considerati nel monitoraggio, tutti i dati dell’ILO però non distinguono chiaramente tra ispettori “generalisti” e quelli specializzati nella sicurezza sul lavoro. In questo studio, non compaiono dati recenti riferiti all’Italia.
La tabella, lo si evidenzia, non riporta i dati delle imprese agricole (oltre 10 milioni nei paesi UE) e relativi lavoratori per permettere un più agevole raffronto tra i diversi paesi, non certo per sottovalutare l’importanza della sicurezza in questo comparto caratterizzato peraltro da condizioni di impiego “particolari” (per usare un eufemismo con riferimento a precarietà, irregolarità e impiego stagionale caratterizzanti il settore).
Se volessimo utilizzare il rapporto tra il numero degli ispettori dichiarati da ogni paese UE e il numero delle imprese (eccetto agricoltura) e/o lavoratori come un parametro di “adeguatezza” della struttura ispettiva, dalla tabella riportata sopra dovremmo dedurre che i lavoratori del Lussemburgo sono quelli meglio tutelati e quelli italiani quelli messi peggio a pari merito con l’Irlanda.
Il dato italiano però, nelle statistiche europee, è carente del numero degli ispettori-tecnici della prevenzione delle regioni in quanto viene riportato solo quello relativo a INL (463). Secondo le statistiche del Ministero della Salute al 2021 i tecnici pubblici/ASL erano complessivamente 9.331 (incrementati a 9.410 nel 2022 – mentre erano 10.037 nel 2013) includendo però anche tecnici di altri settori come la veterinaria, l’igiene pubblica e degli alimenti). (6)
Tenendo conto di questa limitazione statistica i rapporti tra imprese/lavoratori ed ispettori, in Italia, è paragonabile al dato tedesco.
Oltre al puro e nudo numero di ispettori (che varia anche in termini di considerazione di chi sia considerato un ispettore dedicato alla vigilanza sulla sicurezza sul lavoro) dovremmo anche considerare la struttura in cui è inserito e l’approccio nelle attività di vigilanza variabile da nazione a nazione. Pertanto dovremmo costruire un articolato algoritmo per riuscire a confrontare correttamente le diverse realtà europee. Nella impossibilità di mettere assieme tutti i parametri proviamo a partire dagli “approcci ispettivi”.
CONSIDERAZIONI DELL’OSHA SUI DIVERSI “MODELLI” ISPETTIVI
Ogni “ispettore”, in qualunque paese europeo, deve affrontare, per lo più in solitudine, un “dilemma” che potremmo brutalmente sintetizzare negli estremi del “bastone o della carota”.
Un ispettore non può essere semplicemente un compilatore di verifiche di articoli e commi della normativa ma deve essere in grado di valutare il luogo di lavoro secondo “gli occhiali” della norma per poi personalizzare, secondo l’esperienza, un intervento che potrà essere, contestualmente, con strumenti costrittivi (e/o sanzionatori) per gli aspetti di palese e grave violazione come pure di spinta per gli attori della sicurezza (non solo il datore di lavoro ma anche il responsabile del servizio di prevenzione e sicurezza, il medico competente, dirigenti e preposti, lavoratori ecc) verso interventi di miglioramento in presenza di condizioni di criticità che non costituiscono violazioni: un confine spesso labile e che solo l’esperienza e la professionalità permettono di distinguere.
Questo dilemma e la sua soluzione “pratica” quotidiana è trasversale rispetto ai diversi paesi e modalità di intervento.
È evidente che se si sposa esclusivamente la prospettiva del “bastone” la rappresentazione delle ispezioni è quella di distribuire “terrore”: ogni qualvolta i media passano la notizia di controlli “a tappeto” (per lo più estemporanei) in particolare da parte di forze di polizia non dedicate alla sicurezza esprimono l’entità dell’intervento sulla entità delle sanzioni erogate e non del tipo e dimensione delle violazioni riscontrate. Qualunque organo di vigilanza che agisce in questo modo ripercorre – per riferirci al caso italiano – quanto svolgeva l’ispettorato del lavoro prima della riforma sanitaria: assenza quotidiana e zero rapporti con i lavoratori e le loro rappresentanze, interventi a spot enfatizzati dai media, una volta chiusa la porta dell’azienda dietro di sé, fine di ogni ulteriore rapporto con gli attori della sicurezza.
Contestualmente è pacifico, per chi scrive, la necessità di norme “coercitive” ovvero la cui mancata attuazione determina delle conseguenze di carattere sanzionatorio. Secondo Karl Marx è proprio questo una comprova dei rapporti sociali di produzione: «Nulla potrebbe caratterizzare meglio il modo di produzione capitalistico, che la necessità di imporgli con leggi statali coercitive le misure più elementari di pulizia e di sicurezza» (Il Capitale, volume I).
Secondo lo studio OSHA già richiamato, a fronte di condizioni di lavoro non conformi alla normativa «Le opzioni disponibili possono essere classificate in quattro categorie: richiesta di miglioramenti, interruzione delle attività lavorative, emissione di multe e procedimenti giudiziari. Le opzioni sanzionatorie sopra elencate sono normalmente utilizzate a discrezione dei singoli ispettori del lavoro che operano sotto l’egida dei rispettivi ispettorati nazionali».
Un primo sistema è quello della contravvenzione con prescrizione ovvero la formale comunicazione alla impresa di aver violato una norma, dettagliandone il contesto e i motivi, richiedendo entro un tempo stabilito, in relazione alla complessità dell’intervento, la rimozione della violazione; in caso di ottemperanza la impresa “se la cava” con una sanzione in via amministrativa altrimenti va a giudizio. Tale sistema è vigente in Italia dal 1994 e ha “caricato” gli ispettori di ulteriori responsabilità anche procedurali prima in capo alla Autorità Giudiziaria.
Un secondo provvedimento è quello della sospensione della attività non conforme definendo tempi e modalità di intervento di adeguamento (in Italia questo provvedimento è “parallelo” al primo nei casi considerati di maggior rischio individuati dalla norma e ora connesso anche con la “perdita” di crediti sulla patente, perlomeno nel caso delle imprese che operano nei cantieri).
Un terzo provvedimento, sempre in caso di violazioni, è la variabilità dell’importo della sanzione tenendo conto delle dimensioni dell’impresa e/o del rischio correlato al settore: «le multe variano notevolmente da un paese all’altro e la letteratura non presenta livelli specifici di sanzioni pecuniarie per violazioni della sicurezza che siano correlate a una migliore conformità successiva da parte delle imprese». In Italia non vi è variabilità della entità delle sanzioni in quanto ogni violazione ha un importo fisso. La sanzione applicata – a parità di importo – può costituire un elemento pesante per una piccola impresa o fare “il solletico” ad una grande impresa. Una variabilità della sanzione in relazione alle dimensioni/fatturato delle imprese esiste in Italia solo nel caso della responsabilità civile dell’impresa, in aggiunta alla responsabilità penale del datore di lavoro, per infortuni o malattie professionali.
Il quarto provvedimento è quella che in Italia si chiama “notizia di reato” ovvero la comunicazione alla Autorità Giudiziaria del reato individuato e quindi un rimando ai procedimenti penali. Sempre con riferimento all’Italia tale “notizia” va sempre fatta soprattutto se la violazione è correlata ad un infortunio sul lavoro comunque «l’esame generale dell’EU-OSHA sul miglioramento della conformità (EU-OSHA, 2021) segnala che le azioni penali e le pene detentive per violazione delle norme in materia di SSL sono generalmente rare».
L’OSHA si chiede quale sia l’approccio più efficace, quello “sanzionatorio” o quello “persuasivo”, concludendo, in modo salomonico, che “nella pratica, la persuasione è preferibile alla sanzione, ma la sanzione va utilizzata quando necessario”. Statisticamente in tutte le imprese che hanno “subito” una ispezione vi sarebbe un miglioramento delle prestazioni (minori infortuni) perlomeno a breve e medio termine.
«Anche quando le opzioni sanzionatorie non vengono utilizzate per garantire il rispetto, gli ispettori del lavoro hanno un effetto deterrente intrinseco con la loro stessa presenza. Quando gli ispettori del lavoro visitano le imprese, possono essere percepiti come potenzialmente in grado di imporre sanzioni, se i loro consigli non vengono seguiti. Come riporta Hawkins (1991), gli ispettori del lavoro “consigliano, istruiscono, esortano, contrattano o minacciano”. Se questi approcci non sono sufficienti, gli ispettori possono ricorrere all’applicazione di sanzioni».
Altri studi confermano tale tendenza ma rilevano anche che, senza penalità, gli effetti positivi sono ridotti, in altri termini l’effetto di un approccio volto principalmente alla “educazione” dell’impresa non ha sempre efficacia.
A fronte di tali dilemmi OSHA definisce una serie di possibili “risposte”: un approccio “reattivo”, «La teoria è che quando gli ispettori del lavoro si impegnano per la prima volta con le imprese, dovrebbero utilizzare un approccio persuasivo per garantire un livello adeguato di SSL. Al momento della rivisitazione dell’impresa e se gli standard di SSL non sono sufficienti, la prima opzione sanzionatoria da utilizzare sarebbe quella degli avvisi di miglioramento. A ciò seguirebbero progressivamente ammende e/o procedimenti giudiziari se non si raggiunge il livello di progresso richiesto. La sanzione finale da applicare sarebbe la sospensione o la chiusura dell’impresa».
Questa conclusione “aperta” dell’OSHA risente del punto di partenza: finalità e modalità ispettive connesse alle attività dei ministeri del lavoro (per lo più generaliste) e/o connesse con organismi assicurativi il tutto finalizzato al risultato della estensione degli “standard di SSL” (ovvero l’applicazione della normativa europea sulla sicurezza sul lavoro).
ALCUNI APPUNTI AGGIUNTIVI SULLA SITUAZIONE ITALIANA
L’approccio contenuto nella riforma sanitaria italiana era (è) la costruzione (continua) di servizi ancorati a un territorio di riferimento non troppo esteso; Servizi che conoscono per cumulo di esperienze, virtù e difetti delle attività insediate riuscendo a calibrare gli strumenti per ottenere risultati.
«Il servizio sanitario nazionale nell’ambito delle sue competenze persegue: (…) b) la sicurezza del lavoro, con la partecipazione dei lavoratori e delle loro organizzazioni, per prevenire ed eliminare condizioni pregiudizievoli alla salute e per garantire nelle fabbriche e negli altri luoghi di lavoro gli strumenti ed i servizi necessari».
La sottolineatura della partecipazione dei lavoratori è pressocché unica in quanto presuppone una disponibilità “permeabile” delle istituzioni a coinvolgere e valorizzare l’iniziativa dei lavoratori/lavoratrici e non a considerarli dei soggetti, muti e inermi, da tutelare comunque.
Storici e fondanti approcci, all’inizio della applicazione della riforma sanitaria (e anche prima), sono stati gli SMAL (Servizi di Medicina del Lavoro), strutture territoriali in cui tecnici, medici del lavoro, organizzazioni sindacali e datori di lavoro avevano spazio per il confronto, oltre il dato “basico” della applicazione delle norme di sicurezza, per definire percorsi (contenuti ed obiettivi verificabili) di “bonifica” dei luoghi di lavoro dai fattori di nocività.
Peraltro l’azione dei servizi è stata improntata da una iniziale definizione di “mappe di rischio” consistenti in un censimento delle diverse filiere produttive presenti nel territorio e la loro caratterizzazione per i principali rischi, permettendo così di calibrare gli interventi anche in relazione alla consistenza di un settore produttivo in una data area. La cancellazione delle procedure di “inizio attività” rispetto a quelle autocertificate con “denuncia di inizio attività” (DIAP) hanno col tempo reso più difficile mantenere una conoscenza aggiornata delle realtà locali.
Il momento ispettivo si collocava all’interno di tale strategia e non era la finalità unica del servizio, comunque fondamentale per definire tecnicamente il dato di partenza su cui tutti i soggetti – pubblici e privati – si impegnavano nel tempo ad interventi di miglioramento.
Con le modifiche normative successive in particolare nella organizzazione delle USSL poi ASL e con l’involuzione del contesto sociale (perdita di diritti dei lavoratori/lavoratrici a partire dalla precarizzazione dei rapporti di lavoro) il momento ispettivo si trova, quasi sempre, isolato e quindi con azioni, anche positive, a “spot” rincorrendo urgenze. Anche i Piani Mirati di Prevenzione che, in qualche modo, sono dei succedanei a quella impostazione iniziale, non a caso frutto del confronto tra un movimento operaio sempre più forte e cosciente e “tecnici” che non si consideravano un mondo a parte rispetto a quello oggetto dei loro interventi istituzionali.
Questa valutazione appare importante nel contesto italiano attuale: dopo anni di decimazione del pubblico impiego con tagli lineari che hanno interessato pesantemente anche i tecnici della prevenzione delle ASL vi è una “corsa” a nuovi concorsi ministeriali (per l’INL), non necessariamente o esclusivamente per figure tecniche, e, ultimamente, anche a livello regionale (per evitare ulteriori perdite di personale per pensionamento) presentate come la panacea immediata a fronte delle necessità di incremento dei controlli per mostrare una qualche reazione del governo di turno all’incremento o comunque non riduzione di infortuni.
Nella migliore delle ipotesi, ci vorranno dai 3 ai 5 anni per recuperare parte di quanto volutamente perso negli ultimi 20 anni per “il pareggio del bilancio pubblico”. Si è verificata anche una importante perdita di passaggio di esperienze tra “senior” e “junior”: di senior ce ne sono sempre meno, devono garantire gli interventi istituzionali e quindi non possono seguire i molti tecnici di nuova assunzione, gli junior hanno quasi sempre un curriculum solo scolastico e arrivano nei servizi non conoscendo nella pratica le “dinamiche” tra attività ispettive, i cicli produttivi, la estrema variabilità dei luoghi di lavoro e i rapporti con gli attori della sicurezza aziendali.
Le pratiche di “controllo” che, in modo diversificato, vengono favorite senza un accesso “fisico” nei luoghi di lavoro (ad esempio erogando questionari da remoto, c.d. “survey monkey”), incrementano in modo posticcio il numero dei controlli (per raggiungere formalmente gli obiettivi dei LEA) ma non hanno sicuramente un ruolo di prevenzione paragonabile alla ispezione tradizionale basata su una procedura che l’OSHA definisce «Osservare, chiedere e leggere”, … ispezione visiva, interagendo con il personale, ponendo domande e leggendo documenti in loco, comprese le valutazioni dei rischi».
Non va del resto mai dimentica che il ruolo degli ispettori, in Italia come nella maggior parte degli altri paesi UE, è quello preventivo quindi di rilevare situazioni non conformi per il loro adeguamento (con diversi strumenti costrittivi) ma è anche quello di agire come polizia giudiziaria, al servizio della Autorità Giudiziaria per lo svolgimento di indagini per infortuni e malattie professionali. Questo ruolo, fondamentale nella individuazione di responsabilità per danni nei confronti delle persone offese (lavoratori) evidentemente non può che coinvolgere anche l’attività generale di vigilanza.
Sul tema rilevo la “schizofrenia” tipica del mondo imprenditoriale e politico italiano: quando avvengono infortuni mortali “importanti” e l’evento ancora “brucia” gli attori sociali (sindacati, politici, imprenditori) condividono lacrime di coccodrillo sui “controlli insufficienti”. Subito dopo ci si “industria” su come evitare che vi sia un numero sufficiente di ispettori (soprattutto nelle ASL) e impedire una organizzazione omogenea e improntata a controlli rigorosi. Senza dimenticare lo studio e l’utilizzo di ogni possibile cavillo formale per contestare e rendere inefficaci gli atti degli organi di controllo. contando su una giurisprudenza altalenante o sui tempi di prescrizione.
La riforma “Cartabia” ha anche introdotto l’indirizzo per i PM di non proseguire in un’azione giudiziaria se i risultati delle prime indagini mostrano la difficoltà di prevedere una condanna del contravventore: questo determina archiviazioni “a raffica” degli eventi infortunistici meno gravi e quando non vi è querela dalla parte offesa.
Da ultimo ricordo che stiamo parlando del solo “settore” della vigilanza la cui esistenza e capacità di azione dovrebbe essere di per sé un deterrente da azioni o omissioni volutamente di violazione delle norme. Ma l’altro “corno” del problema è la possibilità e capacità dei lavoratori di autodefinire i propri obiettivi di autotutela, come per altri temi sindacali, e contestualmente sapere e volere costruire un rapporto con i servizi a loro volta che sono in grado e vogliono essere permeabili all’iniziativa dei lavoratori come numerose esperienze degli anni ’70 ci hanno mostrato come possibili (v. numero di Medicina Democratica n. 237-239).
Non posso che chiudere queste note con una rilevazione che Kafka traeva dal confronto con i padroni di un secolo fa che lamentavano quanto segue: «L’aumento dei contributi non è che un aspetto della insufficiente rappresentanza degli imprenditori in Parlamento, il quale è colpevole dell’emanazione di leggi che gravano pesantemente sulle imprese. […] Senza offesa: gli ispettori del lavoro, teoricamente ben preparati, in pratica lasciano ancora molto a desiderare. […] Gli ispettori prescrivono dispositivi di protezione delle macchine che ne impediscono il funzionamento e che spesso devono essere rimossi dagli operai durante il lavoro. […] Mente e occhi concentrati sul lavoro! Ecco la miglior protezione contro ogni infortunio. […] Ci preoccupano soprattutto i controlli a sorpresa degli ispettori del lavoro; gli imprenditori esigono che l’ispezione nei loro stabilimenti sia preannunciata».
Esattamente quello che ha colto il governo attuale con il DL 104/2024 che ha introdotto l’obbligo di “preavviso” di almeno 10 giorni per le ispezioni anche in tema di sicurezza sul lavoro e, nello stesso tempo, presenta la “patente a crediti” come la soluzione per garantire imprese rispettose della sicurezza nelle attività edilizie.
BOX INFORMATIVI
L’Agenzia europea per la sicurezza e la salute (OSHA)
L’Agenzia europea per la sicurezza e la salute (OSHA) è stata istituita nel 1994, ha sede a Bilbao (Spagna), e le sue funzioni e modalità di azione sono state riviste nel 2019 (Regolamento 126/2019)
«L’obiettivo dell’EU-OSHA è di fornire alle istituzioni e agli organismi dell’Unione, agli Stati membri, alle parti sociali e agli altri soggetti interessati al settore della sicurezza e della salute sul lavoro pertinenti informazioni tecniche, scientifiche ed economiche nonché le competenze tecniche utili in tale settore al fine di migliorare l’ambiente di lavoro, in un contesto di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori. A tal fine l’EU-OSHA promuove e diffonde le conoscenze, fornisce dati concreti e servizi volti all’elaborazione delle politiche, tra cui conclusioni basate sulla ricerca e agevola la condivisione delle conoscenze tra l’Unione e i soggetti nazionali».
Agisce in coordinamento con la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofound) e il Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale (Cedefop).
Si affianca alla Autorità del Lavoro Europea (ELA) istituita nel 2019 che ha il compito di “contribuire a migliorare la cooperazione tra i paesi dell’UE, coordina le ispezioni congiunte, effettua analisi e valutazioni dei rischi in materia di mobilità dei lavoratori transfrontaliera e media nelle controversie tra i paesi dell’UE.” Secondo quanto riportato nel suo sito «L’ELA promuove un lavoro agile ed efficiente, che aiuta a trovare soluzioni alle sfide che si presentano nei settori contemplati dal regolamento. L’ELA: contribuisce a garantire che le norme dell’UE in materia di mobilità dei lavoratori e coordinamento della sicurezza sociale siano applicate in modo equo, semplice ed efficace; rende più facile ai cittadini e alle imprese cogliere i vantaggi del mercato unico; aiuta le autorità nazionali a cooperare affinché le norme siano applicate in modo efficace».
Il Comitato degli alti responsabili dell’Ispettorato del Lavoro (CARIP)
Il Senior Labour Inspectors Committee (SLIC) o Comitato degli alti responsabili dell’Ispettorato del Lavoro (CARIP) è stato istituito nel 1995 per assistere la Commissione europea nel monitoraggio dell’applicazione a livello nazionale della legislazione UE in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Il Comitato è composto dai rappresentanti dei servizi ispezione del lavoro di ciascuno Stato membro dell’U.E. Su delega del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali partecipa alle riunioni plenarie dello SLIC un rappresentante dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.
Lo SLIC, attraverso Working Group costituiti per l’approfondimento di specifiche tematiche, svolge le seguenti, principali attività:
- definizione di principi comuni dell’ispezione del lavoro su salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e sviluppo di metodi di valutazione dei sistemi nazionali di ispezione;
- promozione della reciproca conoscenza e dello scambio di informazioni tra i vari sistemi e prassi nazionali in materia di ispezione del lavoro su salute e sicurezza sul lavoro;
- realizzazione di attività di staff exchange tra le amministrazioni nazionali e definizione di programmi comuni di formazione per gli ispettori dei paesi dell’UE;
- cooperazione con gli ispettorati del lavoro nei Paesi terzi anche al fine di contribuire alla risoluzione di eventuali problemi transfrontalieri;
- studio del possibile impatto delle politiche comunitarie sulle attività di ispezione del lavoro relative alla salute e alla sicurezza sul luogo di lavoro.
Note
- Nella nota dirigenziale INL (del 31.07.2024 pochi giorno dopo la pubblicazione del dlgs 103/2024) rileva infatti che: «Non appare invece sostanzialmente applicabile agli accertamenti di competenza dell’Ispettorato nazionale del lavoro la previsione secondo cui le amministrazioni sono tenute a fornire, prima di un accesso nei locali aziendali, “l’elenco della documentazione necessaria alla verifica ispettiva”. Da tale obbligo sono infatti esonerate tutte le iniziative avviate dalle amministrazioni che hanno esigenze di ricorrere ad accessi ispettivi “imprevisti o senza preavviso”, esigenze che ricorrono pressoché ogni volta l’Ispettorato avvii una attività di vigilanza sia in materia lavoristica, sia in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Va da sé, infatti, che l’eventuale richiesta di documentazione alle imprese prima di un qualsiasi accesso ispettivo vanificherebbe l’efficacia della tipologia di accertamenti di competenza di questo Ispettorato».
- Riportiamo alcune premesse (“considerando”) della direttiva: «considerando che negli Stati membri i sistemi legislativi in materia di sicurezza e di salute sul luogo di lavoro sono molto differenti e meritano di essere migliorati; che simili disposizioni nazionali in materia, spesso integrate da disposizioni tecniche e/o da norme volontarie, possono consentire vari livelli di protezione della sicurezza e della salute e dar luogo ad una concorrenza a scapito della sicurezza e della salute; considerando che vi sono ancora troppi infortuni sul lavoro e malattie professionali da deplorare; che misure preventive debbono essere adottate o migliorate senza indugio per preservare la sicurezza e la salute dei lavoratori in modo da assicurare un miglior livello di protezione (…) considerando che il miglioramento della sicurezza, dell’igiene e della salute dei lavoratori durante il lavoro rappresenta un obiettivo che non può dipendere da considerazioni di carattere puramente economico».
- OSHA “Supporting compliance of occupational safety and health requirements – European Labour Inspection systems of sanctions and standardised measure” 2022;
- Comitato degli Alti Responsabili dell’Ispettorato del lavoro (CARIP) “Principi comuni dell’ispezione del lavoro nel settore della salute e della sicurezza sul luogo del lavoro” – 2017; Committee of Senior Labour Inspectors (SLIC) “Opinion on future EU OSH Enforcement priorities contributing to a renewed EU OSH Strategy” – 2020; “EU Labor Inspectorates: overview of data from Annex 1 to the National OSH Reports on L.I” – 2021. Si veda anche David Walters. “Labour inspection and health and safety in the EU” ETUI, The European Trade Union Institute. ETUI, The European Trade Union Institute, 05 Nov. 2020.
- Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) “Linee guida sui principi generali delle ispezioni del lavoro” – 2019.
- Nel 2012 l’EPSU (European Federation of Public Service Unions) nello studio “A mapping report on Labour Inspection Services in 15 European countries” attribuiva all’Italia il primo posto in termini di numero assoluto di ispettori (poco meno di 3.500) ed una posizione migliore rispetto agli altri paesi UE maggiormente industrializzati nel rapporto ispettori/lavoratori (1 per 6.000 circa). Il dato italiano però era riferito al personale del Ministero del Lavoro, senza individuazione del numero degli ispettori dedicati alla sicurezza del lavoro (una minoranza allora come oggi) e senza considerare i tecnici delle ASL.
