Edoardo TURI
ABSTRACT
L’articolo analizza i sistemi sanitari nell’Unione Europea attraverso una comparazione tra i modelli Bismarck e Beveridge, esaminando approfonditamente i casi di Francia, Olanda, Germania, Svezia e Spagna. L’autore evidenzia come le competenze dell’UE in materia sanitaria siano limitate rispetto ad altri settori, essendo la sanità una competenza condivisa tra Unione e Stati membri. Viene tracciata l’origine storica e sociale dei due modelli fondamentali di welfare sanitario europeo, nati rispettivamente nella Prussia di Bismarck (anni 1880) basato su mutualità e assicurazioni sociali obbligatorie, e nel Regno Unito di Beveridge (1942) fondato sulla fiscalità generale e l’universalismo. L’analisi rivela come molti paesi abbiano sviluppato sistemi ibridi: modelli Bismarck con obiettivi Beveridge (Francia) o viceversa. Per l’Italia, l’autore avanza la tesi critica che il SSN, pur nato come modello Beveridge puro, si stia trasformando in un “modello Beveridge con obiettivi Bismarck” a causa della progressiva privatizzazione, dell’introduzione di assicurazioni sanitarie integrative nei contratti collettivi, e del definanziamento cronico che ha portato a esternalizzazioni massive. Il testo denuncia inoltre la difficoltà di costruire movimenti europei unitari per la salute pubblica data l’eterogeneità dei sistemi e il ruolo ambiguo delle sinistre italiane nel processo di trasformazione del SSN.
PAROLE CHIAVE
- Modello Bismarck
- Modello Beveridge
- Sistemi sanitari europei
- Mutualità sanitaria
- Privatizzazione SSN
- Assicurazioni sanitarie integrative
- Spesa sanitaria PIL
- Welfare state europeo
- Movimenti per la salute
- Definanziamento sanitario
Da poco sono passate le elezioni europee di giugno 2024 e ancora si discute sui risultati e il loro significato. L’avanzata delle destre conservatrici se non francamente reazionarie, nazionaliste o neofasciste, è stata appena più contenuta del previsto, ma le forze che genericamente possiamo definire come sinistra, o più in generale appartenenti alla tradizione del movimento operaio, democratico ed ecologista, ha appeno tenuto le proprie posizioni con alcuni arretramenti significativi come per esempio i Verdi in Francia e Germania e la Linke in Germania mentre i liberali perdono le loro precedenti posizioni.
Medicina Democratica con altre associazioni e gruppi di attivisti europei impegnati sulla salute e la sanità e che avevano dato vita già negli anni precedenti dal 2019 alle manifestazioni per il 7 aprile, giornata internazionale dell’OMS per la salute, anche nel 2024 si sono mobilitati con manifestazioni locali che in Italia si sono tenute sabato 6/4/2024 anche al fine di consentire ad alcuni attivisti di partecipare alla manifestazione a Bruxelles il 7 e l’8/4/2024.
È in questo contesto che Medicina Democratica, con altre associazioni e gruppi, con cui è in rete, come il Forum per il Diritto alla Salute, hanno proposto un appello in difesa della salute e dei sistemi sanitari pubblici ai candidati italiani alle elezioni europee 2024 in parallelo ad analoghe realtà europee.
L’UNIONE EUROPEA, LA SALUTE E LA SANITÀ
In realtà i due argomenti hanno avuto e hanno un peso diverso nell’Unione europea (UE): mentre per la salute l’UE ha svolto un ruolo significativo attraverso la tutela dell’ambiente e la protezione dei consumatori dall’inquinamento atmosferico, ai rifiuti, dalle acque destinate al consumo umano all’agricoltura, suscitando spesso le ire di imprenditori o settori sociali e che si sentivano colpiti dalla politiche anche blande di sostenibilità ambientale, oppure non è stata all’altezza delle aspettative dei movimenti ambientalisti o di lotta per la salute come per i PFAS, non si può dire lo stesso per i sistemi sanitari.
L’Unione infatti dispone di una competenza esclusiva per la conclusione di accordi internazionali a determinate condizioni.
- Competenze esclusive dell’Unione [articolo 3 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE)]. Settori in cui solo l’Unione può legiferare e adottare atti vincolanti. Gli Stati membri dell’Unione possono farlo autonomamente solo se l’Unione conferisce loro la facoltà di rendere esecutivi tali atti. L’Unione ha competenza esclusiva nei settori seguenti:
- unione doganale;
- definizione delle norme in materia di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno;
- politica monetaria per i paesi dell’area euro;
- conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca;
- politica commerciale comune.
- Competenze concorrenti (articolo 4 del TFUE). L’Unione e i suoi Stati membri possono legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti. Gli Stati membri esercitano la propria competenza laddove l’Unione non la esercita o abbia deciso di non esercitarla. La competenza concorrente tra l’Unione e i suoi Stati membri si applica nei settori seguenti:
- mercato interno;
- politiche sociali (ma solo per gli aspetti definiti specificamente nel trattato);
- coesione economica, sociale e territoriale (politiche regionali);
- agricoltura e pesca (tranne la conservazione delle risorse biologiche del mare);
- ambiente;
- protezione dei consumatori;
- trasporti;
- reti transeuropee;
- energia;
- spazio di libertà, sicurezza e giustizia;
- problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica (limitatamente agli aspetti definiti nel TFUE);
- ricerca, sviluppo tecnologico e spazio;
- cooperazione allo sviluppo e aiuti umanitari.
Quindi per la sanità e i sistemi sanitari le uniche competenze sono riportate di seguito.
In virtù dell’articolo 168 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, la salute pubblica è una competenza condivisa tra l’UE e i suoi Stati membri. Se da un lato gli Stati membri definiscono e forniscono i propri servizi sanitari nazionali e l’assistenza medica, dall’altro l’Unione cerca di integrare le politiche nazionali attraverso la sua strategia sanitaria per:
- prevenire le malattie, promuovendo stili di vita sani;
- facilitare l’accesso a un’assistenza sanitaria migliore e più sicura;
- contribuire a sistemi sanitari innovativi, efficienti e sostenibili;
- affrontare le minacce transfrontaliere;
- mantenere le persone sane per tutta la loro vita;
- sfruttare nuove tecnologie e pratiche.
Il regolamento (UE) 2021/522 istituisce il programma EU4 Health per il periodo 2021-2027, che con un bilancio di oltre cinque miliardi di euro, si prefigge di:
- potenziare la preparazione dell’Unione nei confronti di importanti minacce sanitarie di carattere transfrontaliero tramite la creazione di:
- riserve di forniture mediche destinate alle crisi;
- una riserva di personale sanitario e persone esperte che sia possibile mobilitare per rispondere alle crisi in tutta l’Unione e
- una migliore sorveglianza delle minacce sanitarie;
- rafforzare i sistemi sanitari affinché siano in grado di fronteggiare epidemie e sfide a lungo termine sostenendo:
- la prevenzione delle malattie e la promozione della salute in relazione all’invecchiamento della popolazione;
- la trasformazione digitale dei sistemi sanitari e
- l’accesso all’assistenza sanitaria per i gruppi vulnerabili;
- rendere disponibili ed economicamente accessibili farmaci e dispositivi medici, promuovere l’impiego prudente ed efficiente di sostanze antimicrobiche e favorire l’innovazione in ambito medico e farmaceutico, nonché una produzione più ecologica.
Non è poco ma senz’altro insufficiente. In realtà le normative che regolano i sistemi sanitari nei vari stati membri, anche con le criticità e ulteriori diversità legate all’allargamento dell’UE da 12 iniziale a 27 stati membri (erano 28 ma il Regno Unito è uscito nel 2020), rendono difficile, come in altri campi (es.: fisco) un’armonizzazione e un loro ampliamento dal punto di vista del diritto alla salute.
La prevenzione primaria sicuramente attraverso le politiche ambientali e la difesa dei consumatori può dare all’UE un ruolo più importante per la salute che per quanto concerne i sistemi sanitari.
L’UE TRA BISMARCK E BEVERIDGE
Per comprendere meglio queste differenze bisogna fare riferimento ai due principali modelli Bismarck e Beveridge adottati dai vari paesi dell’UE e alla loro origine storica, sociale e politica, alle fine 1800 il primo e nella prima età del 1900 il secondo.
Pur nella loro diversità i due sistemi traggono motivazioni da analoghe situazioni di crisi e, anche con le loro differenze, non sono poi troppo dissimili nelle loro finalità, almeno nel modo in cui si sono sviluppati in Europa e a differenza degli Stati Uniti. Non dimenticando che gran parte del resto del mondo non occidentale o industrializzato è privo di analoghi sistemi di sicurezza e protezione sociale.
Bismarck, aristocratico, militare e possidente terriero (juncker), fu primo ministro della Prussia (1862) e poi il Cancelliere dell’Impero tedesco Di Guglielmo I (1871). Sono gli anni della seconda Rivoluzione industriale e dello sviluppo del movimento operaio che passa dalla Associazione internazionale dei lavoratori o Prima Internazionale (1864) alla Seconda Internazionale (1889). Anni di conflitti durissimi tra lavoro e capitale, di scioperi e violente repressioni, morti ed arresti. Bismarck, che non era un filantropo o un benefattore dell’umanità, comprese però che al conflitto con le organizzazioni dei lavoratori, i sindacati e il nascente movimento socialista, non si poteva rispondere solo con fucili, cannoni e prigioni, ma doveva pensare ad affrontare quelle rivendicazioni sociali, economiche e politiche che il movimento operaio poneva, affinché il sistema sociale e politico che rappresentava non cadesse sotto le spinte più radicali e rivoluzionarie che quel movimento poneva. Si era da poco spento l’eco del Comune di Parigi (1872).
Per capire il funzionamento del sistema sanitario tedesco bisogna andare indietro nel tempo, fino al 18 gennaio 1871, quando nasce l’impero tedesco, il Secondo Reich, in seguito alle guerre austro-prussiane e franco-prussiane, terminate entrambe con la vittoria della Germania. Segue un periodo caratterizzato da una forte paura da parte delle monarchie dei vari stati, che la Rivoluzione francese del 1789 e quella comunarda del 1871 si ripeta anche in Germania. Il nazionalismo tedesco si sposta rapidamente dal suo iniziale carattere liberale e democratico del 1848 alla Realpolitik autoritaria di Otto von Bismarck, che utilizza l’approccio “del bastone e della carota”. Il movimento socialista è messo al bando, ma viene creato uno stato sociale particolarmente avanzato, basato sulle assicurazioni sociali obbligatorie, finanziato con i contributi delle imprese e dei lavoratori.
Ma Bismarck copiò proprio dal movimento operaio lo strumento da questo adottato, ma per addomesticarne la radicalità rispondendo tuttavia alle rivendicazioni più immediate: la “mutualità” che si esprime nelle associazioni, chiamate per brevità mutue, dove i membri che ne fanno parte s’impegnano, volontariamente e senza fini di lucro personale, a prestarsi reciproco aiuto e assistenza. Nella Roma antica esistevano delle associazioni costituite dai fedeli che curavano il culto di una particolare divinità, chiamate sodalicia e sodalitates create per prestarsi reciproco soccorso in caso di particolari necessità. Gli stessi scopi all’inizio caratterizzano le confraternite medievali (gilde, corporazioni) come quelle della “buona morte” o dei “fratelli della misericordia” che in seguito offrono assistenza ad esempio per garantire un vitalizio per gli anziani o per poter sostenere l’acquisto di strumenti per gli artigiani, ecc.
Scopi questi ultimi che caratterizzano in modo particolare le associazioni operaie del XIX secolo chiamate in Gran Bretagna “friendly societies”, in Francia “associations ouvrières” o “compagnonnages”, in Italia mutue o “società di mutuo soccorso”.
Le associazioni mutualistiche si caratterizzavano per la cronica mancanza di risorse finanziarie che potessero assicurare continuità e sicurezza ai soci per le prestazioni assistenziali: per questo motivo si formarono più solide imprese, chiamate cooperative, basate sull’assenza del conseguimento del lucro personale, in grado di fornire particolari servizi agli associati.
Bismarck attuò tra il 1881 e il 1889 il primo sistema previdenziale al mondo, che servì da modello per tutti gli altri paesi. Nel 1883 istituì l’assicurazione contro le malattie e nel 1884 quella contro gli infortuni. Nel 1889, infine, realizzò un progetto di assicurazione per la vecchiaia. Si gettarono, quindi, nel continente europeo le fondamenta del moderno stato sociale. Si fondava proprio come la mutualità operaia sui contributi dei datori di lavoro e dei lavoratori e il limite era che copriva solo i lavoratori e le loro famiglie.
Il modello Beveridge prende forma in un contesto molto diverso: nel 1942, in piena Seconda Guerra mondiale, di cui non si potevano assolutamente prevedere gli esiti, con l’Europa continentale sotto il giogo nazifascista e l’occupazione tedesca. Un momento drammatico in cui il regno Unito è il primo paese occidentale industrializzato a fare fronte, prima solo con le proprie risorse economiche e umane, all’aggressione nazista. Solo nel 1942 si accese qualche debole speranza sul piano militare, ma la vittoria degli Alleati era ancora di là da venire.
W. H. Beveridge era un aristocratico, economista e sociologo britannico, nel 1944-45 deputato del Partito liberale, che divenne celebre per aver redatto e pubblicato nel novembre 1942 un rapporto sulla “sicurezza sociale e i servizi connessi” (Report of the Inter-Departmental Committee on Social Insurance and Allied Services, meglio conosciuto come “Rapporto Beveridge”). Il rapporto servì poi da base per la riforma dello stato sociale britannico messa in atto dal governo laburista eletto nelle elezioni generali del 1945.
Beveridge osservò come le diseguaglianze tra popoli e nazioni, nonché all’interno delle nazioni stesse, tra le classi sociali, fossero all’origine dei conflitti anche violenti e delle guerre, e così abbozzò un modello della sicurezza sociale in cui tutti i cittadini avrebbero versato un contributo settimanale a un ente nazionale, assicurandosi così contro rischi quali le malattie, l’invalidità o la disoccupazione. Beveridge riteneva che fosse compito dello Stato proteggere i cittadini e le cittadine “dalla culla alla bara” («from cradle to the grave») e lottare contro i cinque “grandi mali” (Giant Evils): miseria, malattia, ignoranza, impoverimento (Squalor) e ozio (Idleness). Le proposte di Beveridge di estendere e riunire le varie assicurazioni sociali in un’ampia assicurazione popolare basata su una comunione dei rischi a livello nazionale, confluirono direttamente nei programmi di riforma del governo laburista, che nell’estate del 1945 subentrò al governo di coalizione del conservatore Churchill. In breve tempo furono ampliate le assicurazioni sociali e colmate le lacune del sistema previdenziale. Nel 1948 il servizio sanitario nazionale (National Health Service) iniziò la sua attività. Queste riforme rientravano in vasti programmi di pianificazione e statalizzazione.
La differenza di base tra i due modelli è nota, ma vale la pena richiamarla: il modello Bismarck, almeno nella Prussia dell’epoca, proteggeva solo i lavoratori e le loro famiglie, poteva avere livelli di protezione diversi a seconda dei comparti lavorativi perché si finanziava con contributi assicurativi dei lavoratori e dei datori di lavoro: perdendo il lavoro si perdeva la copertura e quindi copriva sufficientemente la popolazione in tempi di pieno impiego, lasciando scoperti i disoccupati e le loro famiglie o più ampie fasce della popolazione in tempi di disoccupazione più estesa.
Il modello Beveridge si fonda oggi prevalentemente sulla fiscalità generale e il prelievo fiscale, con proporzionalità sul reddito, ma al tempo del Rapporto non era stato pensato soprattutto in questa forma, adottata successivamente, e infatti non escludeva affatto forme assicurative anche se erano estese a tutta la popolazione senza distinzione tra lavoratori, categorie di lavoratori o disoccupati, pensando a reddito, abitazione, istruzione salute come diritti: un salto epocale rispetto al modello Bismarck, non solo per i cinquant’anni circa che li separano, non molti rispetto alla storia umana, ma così diversi per contesti, economici, sociali e politici in cui furono formulati e poi attuati.
Tuttavia con uno sguardo più attento ai due modelli e basandosi sul metodo della critica dell’economia politica e della critica sociale, si può dire che le finalità dei due modelli non sono poi così dissimili: entrambi pensano, pur con sensibilità e finalità diverse, alla “pace sociale”, per Bismarck la difesa dei privilegi della propria classe e del proprio potere politico dall’avanzare delle rivoluzioni sociali, per Beveridge per difendere la società liberale capitalista dai suoi stessi mali ed errori (approccio poi ripreso concretamente da R.M. Keynes), che portavano a conflitti sociali anche violenti, rivolte sociali se non vere e proprie rivoluzioni, guerre e distruzioni pericolose proprio per il modello economico sociale dominante nell’occidente industrializzato. E entrambi i modelli sono generati dall’affacciarsi sulle pagine della storia delle masse popolari: iniziato già con la Rivoluzione francese, seguito dalla Rivoluzione industriale con la produzione e il lavoro operaio su vasta scala nella fabbrica moderna e continuato nella Prima e poi nella Seconda guerra mondiale con il drammatico contributo in vite umane civili e militari. In entrambi i casi questo contributo non poteva essere ignorato, pena ulteriori pericoli per il sistema economico e politico dominante cui la Rivoluzione russa del 1917 aveva dato un orientamento su scala mondiale.
SISTEMI SANITARI UE A CONFRONTO
Ma vediamo oggi com’è la situazione dei due modelli nell’UE, non dimenticando mai che gran parte del mondo è priva di validi sistemi di sicurezza sociale e sanitaria e solo una minoranza dei paesi occidentali e industrializzati ha un modello Beveridge.
Euro Health Consumer Index (EHCI) (vedi tabella 1) è un indice che rappresenta il livello di qualità della Sanità in Europa, basato sui tempi di attesa, risultati, e affidabilità. EHCI fu introdotto nel 2005-2009 e 2012-2015 dal Health Consumer Powerhouse. Nel 2014 la classifica includeva 37 paesi con 48 indicatori. È il principale confronto per valutare le prestazioni dei sistemi sanitari nazionali in 35 paesi. analizzando l’assistenza sanitaria su 46 indicatori L’indice non misura la qualità in assoluto del sistema sanitario nazionale di un paese, ma la “familiarità” di esso con gli assistiti, con indici specifici sui: diritti dei pazienti e le informazioni, accesso alle cure, risultati del trattamento, portata dei servizi, prevenzione e uso dei farmaci, diabete, cardiologia, HIV, cefalee ed epatiti. È vero che è stato criticato dal British Medical Journal (Martin McKee et al. Osservatorio europeo delle politiche e dei sistemi sanitari, 2016), ma è una delle poche fonti comparate disponibili sui sistemi sanitari europei.
Nel 2006 la Francia fu in cima alla classifica con 768 punti su 1.000. Non è un caso che il regista statunitense M. Moore, criticando duramente la sanità USA fondata su un modello assicurativo, citi il sistema sanitario francese (modello Bismarck) con il Canada e il Regno Unito (modello Beveridge) nel suo film documentario “Sicko” del 2007, mentre l’Italia già allora venne ignorata.


L’ultimo rapporto è del 2018 e vede la sanità italiana, con 648 punti su 1.000, classificata al 21° posto in Europa.
Prima della classe del Vecchio Continente è la sanità dei Paesi Bassi (898 punti su 1000), seguita da Svizzera, Norvegia, Finlandia e Danimarca.
L’indice con cui viene stilata la graduatoria viene redatto combinando i risultati di statistiche pubbliche, sondaggi tra i pazienti e ricerche indipendenti. Secondo l’EHCI l’Italia nel 2013 era al 20° mentre nel 2008 si classificò al 16°. “La performance del sistema sanitario italiano continua a scivolare verso il basso – si legge nello studio –, proseguendo nel suo malaugurato cammino in discesa iniziato fin dai primi rilevamenti dell’EHCI. L’Italia è, infatti, uno dei pochi paesi europei a non avere migliorato il suo punteggio in base all’indice”.
Sia i Paesi Bassi sia la Francia e la Germania, pur con diversità importanti tra loro, hanno modelli prevalentemente Bismarck anche se come poi vedremo “misti” o, meglio, dei modelli Bismarck con obiettivi Beveridge.
Se limitiamo l’analisi a soli paesi UE vediamo che 16 di essi su 27 stati membri (il Regno Unito non ne fa più parte dal 2020), hanno un sistema sanitario basato su un modello Bismarck (Romania, Bulgaria, Croazia, Polonia, Lituania, Estonia, Ungheria, Slovacchia, Rep. Ceca, Slovenia, Francia, Belgio, Austria, Olanda, Germania, Lussemburgo), mentre solo nove un modello Beveridge (Lettonia, Cipro, Grecia, Spagna, Italia, Finlandia, Danimarca, Svezia, Irlanda).
Confrontando i dati di questi paesi non sembra che il modello influenzi la qualità reale o percepita.
Si prenderanno come esempio alcuni paesi per la loro valenza simbolica (Francia, Olanda, Germania con modelli Bismarck e Svezia, Spagna e l’Italia, modelli Beveridge, su quest’ultima però si faranno solo delle valutazioni comparative), pur considerando la difficoltà di paragone per le differenze importanti della numerosità e densità della popolazione e le rispettive economie, in particolare il PIL.
I SISTEMI SANITARI IN ALCUNI PAESI UE
Iniziamo con la già citata Francia, il che ci dà la possibilità di dare la prima definizione riportata nel titolo: mutualità.
Non è un caso che il sistema sanitario francese sia preso come esempio dalla rivista Valori di Banca Etica (Andrea Barolini, Valori, 28/4/2020).
Il sistema sanitario francese è di tipo misto, strutturalmente basato su un modello Bismarck ma con obiettivi Beveridge, che si riflette nel sistema unico di pagatore pubblico, la crescente importanza delle entrate fiscali, per finanziare l’assistenza sanitaria e un forte intervento statale. L’Assicurazione sociale sanitaria (SHI, Social Health Insurance) copre attualmente il 100% della popolazione. La responsabilità delle cure è condivisa tra medici del Free for Service privati, ospedali pubblici, ospedali privati senza fini di lucro e ospedali privati con fini di lucro. Oltre al settore sanitario esiste un “terzo settore” sanitario e di assistenza sociale, le secteur médico social, che fornisce assistenza agli anziani e ai disabili. Lo Stato rimborsa solo parte delle cure sanitarie (salvo per i più poveri).
A livello nazionale, infatti, lo Stato in Francia non copre tutte le spese sostenute per le cure dei propri cittadini, ad esempio per un ricovero ospedaliero. Esiste infatti una base di rimborso, che viene erogata da parte della Sécurité sociale (equivalente del nostro Servizio Sanitario Nazionale). Essa ruota attorno al 65% per la maggior parte dei costi sostenuti dai pazienti. Così per le visite presso il proprio medico di famiglia o presso uno specialista, per l’acquisto di occhiali da vista o per gli onorari pagati ad un dentista. La restante quota è a carico dei contribuenti che, per questo, in larghissima maggioranza, si rivolgono ad una mutua sanitaria. Ovvero alle cosiddette “mutuelles”, sottoscrivendo una polizza. Rischiare, infatti, di pagare di tasca propria le spese legate ad un ricovero risulterebbe troppo oneroso per la stragrande maggioranza della popolazione. In un sistema di questo tipo, le mutue sanitarie senza scopo di lucro hanno trovato terreno fertile. Tanto che oggi in Francia sono più di 400. E assicurano circa 38 milioni di persone. Ciò su un totale di circa 66 milioni di abitanti. Per chi invece non è in grado di permettersi una mutuelle, esiste la CMU-C. Si tratta della “Copertura malattia universale complementare”. Che prevede la gratuità delle prestazioni per tutti coloro i cui redditi complessivi non superano i 9.654 euro annui. Alla fine del 2018, essa copriva circa 7 milioni di persone. Per le quali lo Stato ha speso, nello stesso anno, circa 2,7 miliardi di euro.
Inoltre, il modello “pubblico-privato” consente di fatto un controllo reciproco tra i grandi attori della sanità francese. Così, i costi delle mutuelles – che sono di fatto assicurazioni sanitarie private, benché senza scopo di lucro – restano in definitiva ragionevoli. Soprattutto rispetto agli stipendi medi, nel 2018 risultavano pari a 1.637 euro netti al mese per un impiegato, 1.717 per un operaio, 2.271 per un quadro e 4.141 per un funzionario. Una coppia sui 40 anni riesce così a raggiungere una copertura del 100% per numerose prestazioni anche con trenta euro al mese a testa. In totale queste “cotisations” (i contributi versati da tutti i cittadini alle mutuelles) ammontano a più di 22 miliardi di euro. In circa il 70% dei casi si tratta di contratti individuali. Gli altri sono invece accordi stipulati dalle aziende per l’insieme dei propri lavoratori. Il che permette in molti casi di spuntare condizioni particolarmente vantaggiose.
La giurisdizione in termini di politica sanitaria e di regolamentazione del sistema è divisa tra lo stato (Governo, Parlamento), SHI e, in misura minore, le autorità locali, in particolare regionali che dagli anni ’90 del XX secolo hanno assunto un ruolo maggiore nei processi decisionali e nella pianificazione. Sono state dunque create delle Amministrazioni regionali (ARS) per rappresentare i vari soggetti interessati (SHI, stato, professionisti, attori della salute) con negoziazioni tra fornitori, stato, responsabili dei conti pubblici per rispettare gli obiettivi nazionali di spesa sanitaria, che si traducono in leggi, decreti amministrativi e accordi collettivi. Con i problemi di deficit di bilancio dalla metà degli anni ’90 del secolo scorso lo stato ha assunto un ruolo maggiore ma sempre in una prospettiva di condivisione nei livelli centrali e regionali per quanto riguarda la pianificazione e la regolamentazione. Le ARS coordinano l’assistenza ospedaliera e ambulatoriale e l’assistenza sociosanitaria per anziani e disabili. I fornitori sono pagati dal SHI ma gli assistiti potrebbero dover pagare il fornitore e poi richiedere il rimborso da parte del SHI anche per le visite del medico di base. Le tariffe sono stabilite tramite negoziazioni tra fornitori e SHI e approvate dal ministero della sanità che regolamenta la qualità delle cure a livello nazionale.
Il modello mutualista francese è estremamente antico. Affonda le sue radici negli anni della rivoluzione industriale, attorno al 1820. Già nel 1848, circa duemila società raggruppavano in Francia 250 mila soci che, con le loro famiglie, rappresentavano 1,6 milioni di persone. Numeri che salirono a 5.700 società (per 670 mila assistiti) nel 1870. Meno di trent’anni dopo, nel 1898, venne emanata la “Charte de la mutualité” (Carta del mutualismo). E nel 1902 nasce la Federazione nazionale della mutualità francese. Nel 1914, alla vigilia della prima guerra mondiale, gli aderenti erano quasi 4 milioni, che diventarono 9,8 nel 1938. Quindi, dopo la seconda guerra mondiale, venne creata la Sécurité sociale. Le mutue a quel punto si adattarono e si trasformarono via via in quelle che rappresentano oggi un elemento costitutivo dello stato sociale della Francia. Oggi la sfida è ormai quella del mercato, dovendo fare fronte alla concorrenza delle compagnie d’assicurazione private tradizionali, nel quadro di un’Europa largamente liberale, cercando di mantenere saldi i principi di governo democratico all’interno dei gruppi, che sono sempre meno numerosi e sempre più grandi.
La Francia è uno dei paesi che spende maggiormente per la Sanità. Nel 2022 la spesa sanitaria francese ha registrato l’11,9% del PIL posizionando il paese ai vertici della classifica del G7, dietro solo a USA e Germania. ciononostante anche in Francia iniziano a porsi alcuni problemi, come emerge dall’articolo di Maddalena Carretti, Alisa Barash e Enrica Castellana su Saluteinternazionale.info del 22/5/2024: in Francia vi è una forte carenza di personale sanitario dovuta specialmente al pensionamento della forza lavoro; e nonostante l’aumento del numero di nuovi assunti questi non sono sufficienti a coprire i posti vacanti, Il numero dei medici per 100.000 abitanti è inferiore rispetto alla media europea e inferiore a paesi quali Germania, Italia e Spagna (nel 2020 318 medici per 100.000 abitanti). Nel 2021 c’erano 227.946 medici, di cui 44% GPs (Medici di Medicina Generale) e il 56% di altre specializzazioni. Sempre nel 2021 il 62% dei medici erano donne, in particolare la diminuzione dei medici di medicina generale in relazione alla numerosità della popolazione. Diametralmente opposta invece la situazione per quanto riguarda gli infermieri. In Francia, infatti, sono presenti 1.134 infermieri per 100.000 abitanti, numero maggiore rispetto alla media europea. Con 764.260 unità (dato 2021), gli infermieri sono la categoria sanitaria più rappresentata. Alla fine del 2019 in Francia c’erano 3008 ospedali, di cui: il 45% pubblici, il 33% privati a scopo di lucro e il 22% privati no profit. Con la riforma del 2016 gli ospedali pubblici sono stati incoraggiati a lavorare in collaborazione tra loro definendo una strategia locale condivisa intorno a un progetto medico comune e di gestione congiunta di alcune funzioni trasversali. Nascono quindi i GHT (Groupement Hospitalier de Territoire). Per quanto riguarda la degenza ospedaliera, tra il 2013 e il 2019, il numero dei posti letto è diminuito del 5%, portando la Francia al di sotto della media europea che è di 387 posti letto ogni 100.000 abitanti.
Il secondo paese UE che si prende in considerazione è l’Olanda che con il suo modello Bismarck, anch’esso tuttavia con obiettivi Beveridge, è il sistema sanitario UE più simile agli USA. Anch’esso è un ibrido: il governo è condiviso tra governo, organizzazioni professionali e assicurazioni sanitarie. Nel 2006 è stata introdotta una concorrenza regolamentata con nuovi attori mentre lo stato e il governo hanno un ruolo più distante come supervisori e facilitatori del “mercato di salute”. Interessante è il decentramento dell’assistenza sociosanitaria per anziani e cronici affidato soprattutto ai Comuni che hanno anche la responsabilità delle attività preventive e di promozione della salute.
Ma solo dal 2008 con l’assicurazione obbligatoria unificata più soggetti assicuratori devono competere tra loro, seppure in un ambiente regolamentato per gli assicurati, mentre sono stati creati degli organismi indipendenti, non direttamente governativi, quali responsabili della gestione del sistema, organismi consultivi distinti per obiettivi scientifici, sociali o relativi al pacchetto assicurativo. Nel complesso il sistema si basa su esperti e prove scientifiche che accompagnano il processo decisionale tramite istituti di ricerca indipendenti o semi indipendenti dal governo e universitari.
Nel 2014 un’ulteriore riforma ha previsto una netta separazione tra servizi di assistenza psichiatrica e istituzioni e nel 2015 un’altra riforma ha affrontato il tema della sostenibilità economica dell’assistenza a lungo termine dei malati cronici, così l’assistenza infermieristica a domicilio e parte della salute mentale sono state incluse nei pacchetti assicurativi. Governare attori tra loro interdipendenti, la concentrazione degli assicuratori, gli ospedali e le necessità di decentramento è iniziato già negli anni ’90 anche in previsione del mercato regolamentato con una pianificazione meno centrale e con normative e autoregolamentazioni da parte di agenzie locali. Un ruolo importante è dato all’informazione e all’empowerment degli assistiti con studi, ricerche scientifiche e cartelle cliniche elettroniche, svolte da un ispettorato sanitario affinché si possa scegliere tra i vari fornitori di assistenza sanitaria.
L’Olanda è un paese piccolo e densamente popolato, dotato di una fitta rete di medici di famiglia, ospedali, e cliniche private-non profit. I medici di famiglia sono liberi professionisti convenzionati con le assicurazioni. Vengono scelti dagli assistiti sulla base di un rapporto di fiducia e le loro prestazioni sono completamente gratuite. La maggioranza di essi svolge la professione in associazione e si avvale della collaborazione di infermieri e psicologi. I medici di famiglia olandesi sono alquanto riluttanti ad affidare i propri pazienti ai colleghi specialisti. Vengono remunerati con un sistema misto: quota capitaria e a prestazione. Le loro tariffe sono fissate centralmente, ma in futuro è previsto che la loro remunerazione sia negoziata con le assicurazioni all’interno di un budget che incentivi l’integrazione tra professionisti e premi la qualità dell’assistenza ai pazienti con malattie croniche.
L’assistenza ospedaliera e specialistica (tranne le emergenze) è accessibile solo su richiesta del medico di famiglia. Con questa richiesta i pazienti possono scegliere il luogo di cura, pagando un contributo massimo annuale (franchigia) di 375 euro. Alcune assicurazioni chiedono ai pazienti una partecipazione alla spesa del 25% nel caso essi scelgano una struttura non convenzionata con l’assicurazione stessa. Da alcuni anni si è sviluppata una rete di centri specializzati nella chirurgia elettiva ad alto volume di prestazioni, in campo ortopedico, oculistico e dermatologico. Ma le assicurazioni sono riluttanti a convenzionarsi con questi centri temendo di favorire un eccesso di offerta e quindi l’induzione della domanda.
Tutti gli specialisti lavorano in ospedale come professionisti a contratto o – nel 25%, in crescita – come dipendenti. I servizi ospedalieri sono pagati tramite i DRGs. Le tariffe di alcuni DRGs – che rappresentano il 70% dell’assistenza ospedaliera – sono negoziate con le assicurazioni, la restante parte è fissata a livello centrale
Il sistema sanitario olandese è molto costoso anche per la presenza del programma delle spese mediche eccezionali in vigore dal 1968, la più generosa iniziativa di long-term care al mondo e il giudizio che ne dà G. Maciocco su Saluteinternazionale.info del 2018 è sostanzialmente positivo benché si basi “sulle regole del mercato perché le assicurazioni sono organizzazioni private che operano in regime di concorrenza” è “universalistico e solidale, finanziato attraverso la fiscalità generale, per la parte che riguarda le spese eccezionali (assistenza a lungo termine, assistenza domiciliare e residenziale agli anziani non autosufficienti e ai disabili fisici e psichici) e mutualistico perché la componente standard dell’assistenza curativa è garantita da assicurazioni, finanziate dalle imprese e dagli assistiti; l’assicurazione è obbligatoria e lo Stato supporta i cittadini a basso reddito”.
Ma veniamo al paese che ha introdotto per primo al mondo il modello Bismarck: la Germania.
Alla base del sistema politico sanitario tedesco c’è la condivisione dei poteri decisionali tra Lander, governo federale e organizzazioni riconosciute della società civile: una soluzione da studiare anche per l’Italia dei 21 servizi sanitari regionali e dell’autonomia regionale differenziata. I governi tradizionalmente delegano le competenze a organizzazioni autonome ma regolamentate di pagatori e fornitori con schemi assicurativi definiti per legge. La popolazione tedesca consta di 81.8 milioni di cittadini, il Sistema assicurativo sanitario è la principale forma di finanziamento, coprendo 70 milioni di persone e l’85% della popolazione (dato 2012) è iscritto a una delle 132 assicurazioni sociali “obbligatorie”: 35% membri obbligatori (senza pensionati), 18% a carico dei membri obbligatori, 21% pensionati, 2% a carico dei pensionati, 5% di membri volontari e 4% a carico dei membri volontari. Il contributo versato alle assicurazioni varia in relazione al reddito del dipendente e corrisponde al 15,5% dello stipendio mensile (il 53% del quale a carico del dipendente e il 47% a carico del datore di lavoro). Al contributo mensile si aggiungono dei supplementi: si devono versare 10 euro ogni tre mesi per usufruire delle visite mediche con tutti i medici convenzionati con le casse mutue, e successivamente ogniqualvolta che si usufruisce di una visita del medico o del dentista (tra quelle coperte dall´assicurazione) si deve pagare una tassa di 10 euro (questa tassa ha portato a una riduzione osservata del 10% degli accessi). Anche per le medicine si paga il 10% del prezzo e per i ricoveri ospedalieri 10 euro al giorno. Attualmente è stato fissato un limite annuo per le spese aggiuntive (in generale il 2% del reddito annuo, l’1% per chi usufruisce di una cura continuativa a causa di una grave malattia cronica), e chi lo supera viene rimborsato dalla propria assicurazione. I minorenni non pagano nessuna spesa aggiuntiva.
In Germania vige l’obbligo di essere assicurati; coloro che presentano un reddito mensile superiore a 4.462,60 euro possono decidere di iscriversi alle assicurazioni private, anziché a quelle sociali. Le assicurazioni private, a differenza delle casse mutue in cui il contributo dipende dal reddito, calcolano il premio a seconda del rischio personale (infatti, è prevista un’accurata visita medica prima di iscriversi). Le assicurazioni private offrono spesso un servizio superiore delle assicurazioni sociali, pagano meglio i medici, e offrono rimborsi anche per i ricoveri nelle cliniche private non convenzionate. Per i giovani con uno stipendio alto e senza problema di salute il contributo per le casse private costa spesso molto di meno ma con l’avanzare dell’età la polizza assicurativa è più cara, ma – anche in caso di malattie gravi – non può superare determinati livelli standard (per questo motivo si chiede alle assicurazioni di creare, con i risparmi quando uno è giovane, un capitale di riserva). L’11% della popolazione accede alla copertura attraverso assicurazioni private.
Nel sistema i fondi malattia, le loro associazioni e le associazioni dei medici affiliati al sistema sanitario assicurativo hanno lo status di società quasi pubbliche. benché si tratti di organismi corporativi autoregolati che gestiscono il finanziamento e l’erogazione di prestazioni, nell’ambito di quanto previsto dalla normativa. I comitati congiunti di pagatori (associazioni di fondi malattia) e fornitori (associazioni regionali di medici, dentisti o singoli ospedali affiliati al sistema( hanno il diritto e dovere di definire benefici, prezzi, e standard definiti a livello federale(quindi per tutto il paese).Gli attori corporativi controllano e sanzionano il loro membri a livello regionale mentre il livello decisionale verticale è accompagnata da processi di contrattazione orizzontale tra gli attori legittimati del sistema nei vari settori dell’assistenza. Oltre alle organizzazioni corporative che prendono decisioni sono stati concessi diritti formali ad altre organizzazioni (come i tribunali sociali) che attraverso consultazioni tra operatori sanitari e pazienti diventando partner decisivi per i pagamenti per i ricoveri negli ospedali. Il sistema ospedaliero e quello ambulatoriale sono ancora molto separati anche con forme diverse di pagamento tra i due sistemi.
Accanto a questi due settori si aggiunge il “terzo pilastro” sostitutivo per l’assistenza a lungo termine per pazienti cronici, obbligatoria per alcuni gruppi professionali come i dipendenti pubblici, che nel 2019 copriva il 10,9% della popolazione. Nel 1995 è stata introdotta infatti una nuova assicurazione obbligatoria per pazienti con gravi disabilità temporanee o permanenti, con gli stessi criteri dell’assistenza malattia. Datori di lavoro e dipendenti versano l’1,95% del reddito mensile lordo (0,975% ciascuno).
La Germania dispone della più ampia e costosa rete ospedaliera dell’UE con 8,3 posti letto ospedalieri per 1.000 abitanti rispetto al 2,6 della Svezia e il 3,4 dell’Italia (cosa che ha favorito la Germania durante l’epidemia Covid 19 in particolare per i posti letto in terapia intensiva), con tasso di ospedalizzazione superiore (25 ricoveri per 1.000 abitanti rispetto ai 16,2 della Svezia e di 12,8 dell’Italia) e della durata media della degenza (9,2 giorni rispetto ai 6,0 della Svezia e di 7,7 dell’Italia).
Questo sistema è costoso con l’11/3% del PIL nel 2012 (che in Germania è già molto alto e comunque superiore all’Italia).
Iniziando ad esaminare i modelli Beveridge, e tralasciando la Gran Bretagna attualmente non nell’UE, abbiamo la Svezia, modello Beveridge di welfare per eccellenza.
Il sistema sanitario svedese è organizzato in tre livelli: nazionale, regionale locale e la legge del 1982 stabilisce che responsabilità di garantire a tutti coloro che vivono in Svezia una buona assistenza sanitaria è dei 17 Consigli di contea, 14 enti regionali e 290i comuni con ampia autonomia nell’organizzazione dei servizi sanitari compresi cura e alloggio di anziani e disabili con un mix di strutture pubbliche private finanziate pubblicamente. Le Cure primarie con 11.000 Unità di assistenza primaria sono alla base del sistema sanitario territoriale. Sono circa 70 gli ospedali di Contea mentre l’assistenza specialistica più specializzata ed avanzata è concentrata in sette ospedali regionali/universitari. Le Contee sono raggruppate in sei regioni di assistenza medica per facilitare la cooperazione. L’autogoverno locale ha una lunga traduzione in Svezia: le autorità regionali e locali sono rappresentate dal SALAR e il decentramento svedese non si riferisce solo alle relazioni tra governo centrale e locale, ma anche al decentramento in ciascun consiglio di Contea. Tuttavia dagli anni ’90 e dal 2000 ci sono stati sforzi per rafforzare nuovamente l’influenza nazionale per ridurre le differenze regionali e coordinare meglio l’assistenza.
Lo Stato attraverso il Ministero della salute e degli affari sociali è responsabile della politica generale di assistenza sanitaria con otto agenzie governative direttamente coinvolte nel settore tra cui il Consiglio nazionale della salute e del benessere, il Consiglio svedese per la valutazione tecnologica in sanità, l’Agenzia svedese per la salute e l’analisi dei servizi di assistenza, l’Agenzia svedese delle assicurazioni sociali e l’Istituto nazionale per la salute pubblica. La responsabilità per il monitoraggio e la valutazione intersettoriale della politica sanitaria nazionale svedese spetta all’Istituto nazionale di sanità pubblica. Il Consiglio nazionale per la salute e il benessere è responsabile per la redazione delle linee guida basate sulle prove di efficacia per la cura delle malattie croniche in collaborazione con il Consiglio svedese per la valutazione tecnologica in sanità.
Non esistono leggi specifiche che regolino i diritti degli assistiti in Svezia, come il diritto di scelta del paziente o all’informazione, che sono incorporati in altre normative o accordi politici locali con lo stato e i consigli di Contea attraverso il SALAR. Una maggiore libertà di scelta del fornitore di servizi è stata progressivamente introdotta dagli anni ’90.
La popolazione conta un totale di 10,4 milioni di abitanti, e la densità abitativa è molto bassa (appena 20 ab/km2), con il 12% della popolazione stanziato nelle aree rurali e la restante parte concentrata in poche grandi città. La spesa sanitaria rappresenta 11,4% del PIL. Ogni cittadino è chiamato a contribuire alla spesa sanitaria attraverso la fiscalità generale e un sistema di pagamento “out of pocket”: infatti servizi come visite specialistiche, prestazioni ambulatoriali o assistenza domiciliare prevedono un co-pagamento con tetto di spesa annuale. Ciò è richiesto anche per le giornate di degenza in ospedale e per la prescrizione di farmaci. Sono esenti i pazienti >85 anni e <18 anni e le donne in gravidanza. La spesa sanitaria privata in Svezia (del 13%) è tra le più basse in Europa. Anche in Svezia è presente il sistema delle assicurazioni, ma rappresenta solo lo 0.6% della spesa sanitaria totale, sia per assicurazioni private sia per le collettive, stipulate dal datore di lavoro.
L’83% della produzione dei servizi rimane pubblico, con le Regioni e i Comuni che gestiscono rispettivamente gli ospedali e la presa in carico di anziani e disabili. Dal 2018 con la Legge sulla Collaborazione nella Dimissione dall’Assistenza Ospedaliera si è imposta la necessità di creare un Piano Individuale Coordinato tra i professionisti e i livelli di assistenza coinvolti. Le cure a lungo termine possono essere erogate a domicilio o presso alloggi speciali (in Svezia le RSA vere e proprie sono state abolite da molti anni). Nel 2021 il 15% della popolazione sopra ai 65 anni aveva almeno una forma di assistenza secondo la Legge sui Servizi Sociali. Di questi, il 24% viveva in alloggi speciali e il 45% riceveva assistenza. Le cure odontoiatriche sono fornite gratuitamente fino ai 23-24 anni, raggiunti i quali vengono comunque garantite attraverso un’indennità generale annuale fissa. Sono fornite sia da operatori pubblici che privati, in un mercato competitivo che lascia libertà di scelta ai pazienti. Il più grande singolo fornitore privato, con circa il 21% del mercato, è una cooperativa di dentisti, proprietari e responsabili operativamente delle cliniche.
Ciò nonostante come fanno notare Erica Mencucci, Alessandro Senape, Margherita Marchi e Chiara Capanni su Saluteinternazionale.info del 6 Maggio 2024: “Un punto di debolezza rimane il sistema delle cure territoriali, perennemente in affanno a causa della mancanza di personale. I medici non mancano (la Svezia è tra i paesi con più alto numero di medici per 100mila abitanti), ma pochi sono disponibili a lavorare in aree rurali. Territori vasti, poco abitati, con popolazione mediamente più anziana e meno ricca, sono poco attrattivi per il personale medico e per gli investimenti del settore privato, che quindi continua a concentrarsi nelle grandi città…Altra grande problematica, forse quella vissuta con maggior disagio dalla popolazione, è la lunghezza delle liste d’attesa, a cui Regioni e Ministero fanno ancora fatica a porre rimedio”.
Altro sistema sanitario Beveridge che si illustrerà è la Spagna, anche perché, come l’Italia, è un paese dell’area mediterranea dell’UE ed ha una storia particolare essendo uscita da decenni di dittatura fascista ma in cui le sinistre hanno saputo per ora reagire meglio che altrove alle offensive conservatrici e reazionarie delle destre.
Il sistema sanitario spagnolo è universalistico fondato sulla fiscalità generale. Le prestazioni sono prodotte prevalentemente dal settore pubblico gratuitamente ad eccezione delle prescrizioni farmaceutiche ambulatoriali e della protesica.
Le competenze sanitarie sono in capo a 17 Comunità autonome ma il livello nazionale rimane responsabile, sotto il controllo del Consiglio interterritoriale per il Servizio Nazionale sanitario, per determinate aree strategiche, nonché per il coordinamento generale e il monitoraggio del sistema sanitario tramite lNGESA (Istituto Nazionale di Gestione Sanitaria).
Prima del 1986-1988 anno di promulgazione della Legge Generale della Sanità, con cui venne creato il sistema Nazionale di Salute definito come “l’insieme dei servizi di salute dell’amministrazione dello Stato e dei servizi di salute delle Comunità Autonome convenientemente coordinate”, la sanità si basava su un modello Bismarck. La legge Generale della Sanità ha stabilito inoltre l’articolazione del Sistema Sanitario Pubblico in Aree di Salute, figure fondamentali del sistema di salute nazionale e che hanno responsabilità dei Centri di Salute e delle loro prestazioni. Ogni Area di Salute ha un bacino di utenza che varia dai 200.000 ai 250.000 abitanti ed è legata ad almeno un ospedale generale. Le Aree di salute a loro volta si suddividono in Zone Basiche dove si trovano i Centri di assistenza primaria (CAP), all’interno dei quali operano le Equipe di assistenza primaria. Nei CAP lavorano equipe multidisciplinari costituiti da medici di medicina generale, pediatri, personale infermieristico e amministrativo, ma è prevista anche la presenza di assistenti sociali, ostetriche e fisioterapisti. L’assistenza primaria è la sede privilegiata anche delle attività di prevenzione e promozione della salute, assistenza e salute della donna, assistenza al paziente terminale e salute del cavo orale. Peculiare nel panorama europeo anche il sistema di remunerazione: tutti i membri del team multidisciplinare sono dipendenti dello Stato – ad eccezione delle equipe di assistenza primaria private presenti in Catalogna – e ricevono un salario fisso a cui si aggiunge una quota capitaria variabile (pari a circa il 15% del totale), che tiene conto della natura della popolazione, della sua densità e della percentuale di popolazione di età superiore ai 65 anni. I medici di base hanno una specializzazione universitaria. Al secondo livello vi è l’assistenza specialistica con i centri di specializzazione (i poliambulatori presenti nei Centri di Salute) e gli ospedali. Degli 804 ospedali presenti sul territorio, circa il 42% è di proprietà del Sistema Nacional de Salud: 315 strutture, cui se ne aggiungono 4 di proprietà del Ministero della Difesa e 20 controllate da mutue dei lavoratori. Il 58%, è di proprietà privata (465) con 53.000 posti letto. La regione con la maggiore percentuale di ospedali privati sul totale è la Catalogna, dove si raggiunge il 70%: qui vige un sistema di competizione regolata e una parte di questi ospedali è di proprietà di organizzazioni non a scopo di lucro, per lo più di natura religiosa. Come i medici di medicina generale, anche gli operatori sanitari ospedalieri sono dipendenti dello Stato con una parte del salario legato al raggiungimento di obiettivi delle politiche sanitarie.
Le strutture ospedaliere vengono finanziate attraverso un budget globale, stabilito in base a voci individuali di spesa. Un sistema che ha sostituito il rimborso “a piè di lista”, privo di negoziati tra terzo pagante (INSALUD o servizi sanitari regionali) e senza alcuna valutazione formale
Dal 2010 la legislazione si è concentrata sulla sostenibilità economica del sistema subordinandolo alle condizioni macro economiche nell’ambito del programma di stabilità (deficit e riduzione del debito), nonostante il fatto che la spesa sanitaria totale fosse circa il 9% del PIL. Analizzando la composizione della spesa 2008, si è osservato che la quota della spesa sostenuta da fonti pubbliche ha rappresentato il 72,5% del totale (Italia 77%, Svezia 82%), perché un quinto dei costi erano coperti da spese out-of-pocket, mentre l’adesione alle assicurazioni volontarie integrative, che coprono le uscite dovute alla spesa sanitaria privata, è bassa, ma non trascurabile.
Importanti le norme del 2005 contro il fumo, del 2009 sull’assistenza sanitaria transfrontaliera e del 2011 sulla salute pubblica, l’adozione della cartella sanitaria e della prescrizione elettronica, il registro dei professionisti e il miglioramento del sistema informativo sanitario.
UN CONFRONTO NECESSARIO FRA I PAESI UE
Se confrontiamo i paesi UE esaminati con l’Italia la prima cosa che balza all’occhio è la spesa sanitaria sul PIL che in Italia si aggira oggi sul 6,6%: teniamo presente che la percentuale sul PIL è un dato ingannevole perché se il PIL si riduce e se la spesa sanitaria rimane stabile, aumenterebbe in percentuale per un effetto paradosso, mentre economie con un PIL più elevato hanno a parità di percentuale, spese reali più elevate. Considerando l’incidenza sul Pil, la spesa sanitaria pubblica italiana è stata nel 2022 pari al 6,8%, appena superiore a quella del Portogallo (6,7%) e della Grecia (5,1%) entrambi modelli Beveridge, ma inferiore di ben 4,1 punti percentuali rispetto a quella tedesca (10,9%), di 3,5 punti rispetto a quella francese (10,3%) con modelli Bismarck/misti, di 2,5 punti rispetto al Regno Unito (9,3%), e inferiore di mezzo punto anche rispetto a quella spagnola (7,3%), entrambi modelli Beveridge.
Di seguito la spesa sanitaria pro capite dei paesi UE esaminati, della Gran Bretagna e degli USA e del Canada: sebbene in aumento lo stesso è di molto inferiore a quello di Francia, Olanda, Germania, Svezia ad eccezione della Spagna di poco superiore e i relativi incrementi percentuali.
Le differenze tra i paesi UE come sopra descritte, cui si aggiungono gli altri paesi, spiegano la difficoltà di creare un movimento nell’UE per il diritto alla salute con obiettivi comuni.




IL SSN IN ITALIA: ORMAI UN MODELLO BEVERIDGE CON OBIETTIVI BISMARCK?
Il primo dato che sembra emergere è che i sistemi sanitari basati sul modello Bismarck/misto ma fortemente regolamentati centralmente come la Francia ma con obiettivi Beveridge, sembrano tenere meglio rispetto all’Italia, mentre il modello Beveridge spagnolo, prevalentemente pubblico rispetto a quello italiano sembra avere un’evoluzione migliore rispetto al sistema italiano benché si assista ad una riduzione del finanziamento di poco inferiore all’Italia.
I dati comparati sulla spesa sanitaria sono impressionanti e spiegano la crisi del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) italiano. Tuttavia come si è detto anche in precedenti articoli compreso su questa rivista, la critica al definanziamento del SSN mette d’accordo tutti: Regioni, Sindacati (ANAAO, FIMMG, OO.SS. confederali), Associazioni delle Aziende Sanitarie, Associazioni datoriali (AIOP, ARIS), Ordini professionali, Fondazioni (GIMBE), Università (Bocconi, Cattolica), media (Sole 24 ore, Quotidiano sanità, Repubblica, il Manifesto, ecc.). Ma questa unanimità è solo la facciata di un processo che andiamo denunciando da tempo: la torta è troppo piccola perché ognuno di questi “portatori di interessi”, in competizione con l’altro, possa avere la sua fetta. Infatti su base media nazionale la spesa sanitaria italiana va al 50% al privato con il 90-95% sul territorio (lungodegenza, riabilitazione, assistenza domiciliare, RSA, hospice) attraverso esternalizzazioni, accreditamenti e convenzioni con soggetti privati sempre più estese. Questo processo che dura da anni ma in aumento si basa sul blocco delle assunzioni nella Pubblica Amministrazione e in particolare nel SSN (il D.L. Balduzzi ministro del Governo Monti fissava nelle Regioni in piano di rientro il turn over al 15%) con il tetto di spesa alla voce “spese per personale” e senza un tetto invece per la voce di spesa “acquisizione di beni e servizi” che, con un falso in bilancio legalizzato, sposta le spese per personale ad acquisizione di beni e servizi in cui rientra tutto l’accreditato e l’esternalizzato (comprese cooperative, terzo settore, P.IVA, consulenze, contratti atipici, lavoro interinale, medici e pediatri di famiglia e specialisti ambulatoriali convenzionati).
Con questo quadro si può parlare ancora in Italia di un modello Beveridge puro come in Svezia o in Spagna (seppure anche in questi paesi vi siano ormai componenti private e assicurative ma assai meno rilevanti dell’Italia)? O forse la privatizzazione da molti paventata non assume in realtà la forma una “rimutualizzazione” strisciante ma palese del SSN italiano che si trasforma in un “modello Beveridge ma con obiettivi Bismarck”? Da produttore di servizi a terzo pagante e controllore, attività che sottrae risorse alla produzione diretta di servizi per effettuare controlli peraltro sempre più limitati data l’estensione quantitativa dell’accreditato.
Questo processo non è forse una vendetta postuma dei nemici del modello Beveridge introdotto in Italia con la L. n. 833/1978, ma che avrebbero preferito un modello Bismarck casomai riveduto e corretto, presenti anche in quella sinistra che pure ne fu fautrice (PCI, PSI, CGIL) e che introdussero nella Riforma sanitaria le due “bombe a orologeria” degli articoli 25 (convenzioni con i medici di famiglia, pediatri e specialisti prevedendo anche la dipendenza ma mai attuata e con gli ospedali e ambulatori specialistici), 26 (convenzioni con i privati per la riabilitazione), 43 e 44 (convenzioni con istituti religiosi e privati).
Può valere per il SSN la profezia di G. Andreotti Presidente del Consiglio del governo monocolore che con l’appoggio esterno del PCI promulgò la L. n. 833/1978 che riferendosi al “compromesso storico”, che ne era alla base, lo definì: incontro tra “clericalismo e collettivismo comunista” (E. Turi Malapolitica sanitaria. Salute e sanità in Italia tra riforme e controriforme di Governi e Ministri, Lavoro e salute. Settembre 2023).
Anche questa ambiguità del “sistema sanitario italiano” ormai misto pubblico privato e le sue carenze (liste di attesa, mancanza di posti letto, mancanza di operatori, criticità della medicina territoriale) è alla base dell’introduzione delle assicurazioni sanitarie in molti CCNL privati e pubblici da parte delle OO.SS. al posto degli aumenti salariali, riducendo così il montante pensionistico (ma già presenti da tempo in settori influenti come i giornalisti e Parlamento), introducendo ulteriori disuguaglianze tra cittadini e lavoratori. Ma queste assicurazioni sanitarie non hanno nulla a che fare con la “mutualità” del modello francese come in precedenza descritta, trattandosi prevalentemente di assicurazioni “profit”, banche e imprenditori della sanità privata, legati al forte investimento anche a livello internazionale del settore finanziario nella “white economy” più sul modello olandese o USA, ma senza una legge italiana generale sul modello francese, che garantisca gli assicurati, copra settori o singoli non assicurati, con i lavoratori completamente in balia delle società assicuratrici e che una volta perduto il lavoro (disoccupazione, pensionamento) ne perdono i benefici, con i loro congiunti, proprio nel periodo della vita in cui ne avrebbero più bisogno. Inoltre la detraibilità fiscale delle assicurazioni da parte dei datori di lavoro sottrae ulteriori risorse al bilancio pubblico.
La normativa italiana è infatti pensata solo per assicurazioni sanitarie profit (D.Lgs. n. 209/2005 con le modifiche introdotte dal D.L. 30 aprile 2022, n. 36, convertito, con modificazioni, dalla L.n. 29 giugno 2022, n. 79), mentre la mutualità è regolata dagli artt. 1 e 2 della vecchia Legge n. 3818/1886, riformata dall’art. 23 del D. L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito in L.n. 221 del 17 dicembre 2012. In questa fattispecie rientra per esempio la Mutua Cesare Pozzo promossa anche da Banca Etica. I Fondi sanitari integrativi e le Società di Mutuo Soccorso sono Organizzazioni non profit, inserite nella recente Legge del Terzo settore e per la loro intrinseca natura mutualistica non sono solo “sanitarie” bensì “socio sanitarie”, erogano cioè anche prestazioni sociali a valenza sanitaria.
Scriveva su Quotidiano sanità del 3/2/2019 Isabella Mastrobuono (Direttore Sanitario, Commissario straordinario e Direttore Generale di Aziende sanitarie del Lazio, con amministrazioni di vario orientamento politico, che con Grazia Labate ex PCI, PDS, DS ex sottosegretario alla sanità con il Ministro Veronesi, poi Ricercatrice presso l’Università di York in Inghilterra, è una fautrice della sanità integrativa; G. Labate è stata presidente della Commissione voluta dalla Ministra Livia Turco ex PCI, PDS, DS, che nel 2007 ha elaborato il Decreto del 2008, seguito dal Decreto Sacconi nel 2009, che individuò nel vincolo del 20% dell’operatività dei fondi la quota da destinare alla non autosufficienza, alle cure odontoiatriche e alle prestazioni sociosanitarie assistenziali, per potere accedere alle agevolazioni fiscali. Oggi quel vincolo è stato superato e sfiora il 40%): “Ad oggi si contano circa 12,5 milioni aderenti dedotti dai 10,7 milioni riferiti al 2016 (Anagrafe dei fondi) cui si aggiungono i 480.000 aderenti al fondo degli artigiani, il milione al Fondo Metasalute (il più grande fondo dei metalmeccanici che contava fino al 2016 solo 95.000 iscritti) ed i dipendenti di molte istituzioni pubbliche comprese università, enti di ricerca, ministeri e 5 regioni che sono stati inseriti in contratti di assistenza integrativa. Tali Fondi garantiscono prestazioni, attività e servizi sostitutivi, integrativi e complementari al SSN per un valore che nel 2016 era di circa 2,3 miliardi di euro (certamente aumentato). Il numero di iscritti e aventi diritto (familiari) ai Fondi integrativi è pari al 20% della popolazione complessiva (ovvero 12,5 milioni), valore che si colloca ben al di sotto di quello registrato nella maggior parte dei Paesi Europei (Francia 97,5%, Germania 44%, Regno Unito 41%, Paesi che presentano un livello di intermediazione della spesa sanitaria privata del 42,8% contro appena il 15% dell’Italia, fonte Ocse). In Francia il valore è così alto perché dal 2015 è entrato in vigore, attraverso la Legge approvata dal Parlamento, l’obbligo di iscrizione a una forma integrativa di assistenza per tutti i lavoratori e la facoltà per i comuni di allargare la mutualità integrativa territoriale a favore di cittadini anziani. La realtà negli altri Paesi europei è quella di avere sistemi di protezione misti, compresa la Svezia, paese storicamente universalistico che a livello delle Contee provvede al fabbisogno sanitario di non autosufficienza attraverso forme di mutualità agevolata”.
I MOVIMENTI UE PER IL DIRITTO ALLA SALUTE
In altri paesi dell’UE si è assistito in questi ultimi anni a varie mobilitazioni con numerosi partecipanti come in Spagna (Marea Blanca), in Francia o in paesi non UE come il Regno Unito, mentre in Italia non vi sono state mobilitazioni di analoghe dimensioni. La spiegazione potrebbe essere proprio nell’ambiguità del sistema sanitario italiano e nelle corresponsabilità in essa delle sinistre che hanno nei fatti appoggiato tutte le modifiche della L. n. 833/1978 sia a livello nazionale che regionale dove hanno gestito tali modifiche (E. Turi Malapolitica sanitaria. Salute e sanità in Italia tra riforme e controriforme di Governi e Ministri, Lavoro e salute. Settembre 2023). Le OO.SS. confederali hanno introdotto le assicurazioni sanitarie integrative, ma nei fatti sostitutive, nei CC.NN.LL. così oggi una fetta importante del mondo del lavoro subordinato dipendente e i familiari, si sente in parte coperto dal SSN pur con tutte le sue carenze (meglio il nord che il sud, meglio l’acuzie e l’ospedale che la cronicità e il territorio, meglio il centro delle città e delle province, che le periferie geografiche e sociali), oppure dalle assicurazioni sanitarie. Inoltre da un punto di vista demografico due terzi della società ancora non è affetta da malattie cronico degenerative e quando lo diventa è fuori dal mercato del lavoro e con minore potere contrattuale. Il mondo del lavoro in sanità è frammentato in molti contratti e corporativo, come ormai molta società italiana anche per la sua composizione ormai disomogenea e interclassista in cui la “middle class”, ventre molle e spina dorsale delle democrazie liberali simile per cultura e consumi, creata anche dal welfare, perde la memoria storica delle conquiste che l’hanno portata a un relativo benessere, e appena perde privilegi presunti o reali, si rifugia nell’astensione, nel voto a destra o in rivendicazioni particolaristiche pur giuste (no alla chiusura del presidio sanitario vicino casa), ma senza nessuna visione generale.
Il Mutualismo in sanità, cosa diversa dalla Mutualità come sopra descritta e dal fenomeno delle assicurazioni sanitarie, è oggi soprattutto una forma di partecipazione dal basso e di lotta che in alcuni casi può però divenire ambigua sovrapposizione evocando, nell’immaginario collettivo, una continuità con la mutualità o il fenomeno assicurativo, evitando la necessità di far convergere il disagio sociale verso forme di lotta più coscienti e incisive soprattutto se non si accompagna ad esse, dimenticando che non siamo più nell’800 di Bismarck agli albori del movimento operaio o nell’Italia prima dell’istituzione del SSN nel 1978.
Il mutualismo di GKN, di Nonna Roma o alcuni ambulatori popolari rivolti a strati marginali della popolazione (migranti irregolari soprattutto in zone periferiche, senza fissa dimora, occupanti di case irregolari, nomadi) ha un senso proprio perché si rivolge a soggetti difficili da raggiungere anche per limiti istituzionali e culturali del settore pubblico ma si accompagna sempre a contemporanee vertenze specifiche sul lavoro, la povertà, l’immigrazione e i servizi.
Diversa è un’iniziativa in cui si forniscono prestazioni che il SSN deve garantire (ecografie, elettrocardiogrammi, sostegno psicologico, ecc.) senza nessun ragionamento su a chi siano rivolti, l’appropriatezza, la qualità della prestazione, la successiva presa in carico da parte del medico di base e dal SSN, l’apertura di vertenze su liste di attesa e funzionamento delle Aziende sanitarie, ecc. Inoltre il mutualismo dovrebbe partire proprio da una reciprocità nello spirito originario dello stesso (mutuo aiuto), invece alcune forme di mutualismo in campo sanitario ripropongono un paternalismo unidirezionale dal professionista all’assistito più simile all’approccio caritatevole e deresponsabilizzante di alcuni mondi religiosi.
Sicuramente sarà necessario un approfondimento specifico su questo fenomeno anche all’interno del movimento per la salute.
CONCLUSIONI
Così oggi la parola d’ordine del PD di aumentare il Fondo Sanitario Nazionale trova tutti d’accordo nella sua ambiguità, se non si limita al SSN propriamente detto e non si accompagna ad un piano straordinario di assunzioni nelle Aziende sanitarie, come propone anche la CGIL, e non si riporta medicina, pediatria di base e medicina specialistica ambulatoriale convenzionata nella dipendenza, possibilità prevista anche dalla L. n. 833/1978, come chiede anche la CGIL e come avviene in Spagna e Portogallo, se non si bloccano accreditamenti e convenzioni con il privato anche per evitare una guerra tra poveri: tra i dipendenti pubblici e privati e tra questi e i precari/atipici.
In questo senso va la Piattaforma elaborata dai Congressi/Movimenti per la salute fatta propria anche da Medicina Democratica e dal Forum per il Diritto alla Salute, che però andrebbe ora maggiormente approfondita in ogni singolo punto per renderla la base di vertenze territoriali e nazionali ad iniziare dalle Giornate di protesta contro il G7 sulla salute ad Ancona il 9-10-11/10/2024.
Bibliografia e sitografia
- Unione Europea sito ufficiale https://european-union.europa.eu/index_it
- https://op.europa.eu/it/publication-detail/-/publication/6b202947-d525-11ee-b9d9-01aa75ed71a1
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