Di Angelo BARBATO*
ABSTRACT
L’articolo analizza il percorso di riforma della legislazione farmaceutica europea iniziato nel novembre 2020 con la strategia farmaceutica della Commissione Europea, che si proponeva di affrontare problemi critici come l’accesso ai farmaci a prezzi accessibili, la risposta a bisogni sanitari insoddisfatti, la preparazione alle crisi sanitarie e la promozione dell’innovazione. Dopo un’ampia consultazione pubblica durata fino al 2022, la proposta di direttiva approvata nell’aprile 2023 si è rivelata una riforma modesta, basata su piccoli aggiustamenti ai diritti brevettuali e incentivi alle aziende farmaceutiche, piuttosto che su un ripensamento strutturale del settore. L’autore evidenzia come emerga una contraddizione insanabile tra le priorità della salute pubblica e gli interessi dell’industria farmaceutica orientata al profitto, documentata dallo scarso valore innovativo della maggior parte dei nuovi farmaci (solo il 23% dei 996 farmaci approvati dall’EMA negli ultimi dieci anni offre reali vantaggi) e dai prezzi insostenibili di quelli realmente innovativi. Viene data particolare attenzione alla proposta radicale elaborata da Massimo Florio per il Forum Disuguaglianze e Diversità: la creazione di una grande azienda pubblica europea per la ricerca, sviluppo e produzione di farmaci, finanziata con lo 0,1-0,2% del PIL dell’Unione, che operi secondo la logica del “market shaping” anziché del “market fixing”. La proposta, pur respinta come emendamento alla direttiva, è stata richiamata sia nel rapporto parlamentare sulle lezioni della pandemia sia nello studio sulle politiche regolatorie, configurandosi come una battaglia ancora aperta che le forze progressiste dovrebbero sostenere per difendere la sanità pubblica europea.
PAROLE CHIAVE
- Strategia farmaceutica europea
- Riforma legislazione farmaci
- Azienda pubblica farmaceutica
- Proprietà intellettuale brevetti
- Accesso farmaci innovativi
- Prezzi farmaci sostenibili
- Market shaping
- Forum Disuguaglianze Diversità
- Progetto Massimo Florio
- Sanità pubblica europea
Nel novembre del 2020 la Commissione Europea ha adottato i principi di una nuova strategia farmaceutica per l’Europa (Commissione Europea, 2020), con l’obiettivo di fornire le basi per l’approvazione di una direttiva e un regolamento in sostituzione della legislazione che tuttora regola il settore farmaceutico. Secondo la Commissione era necessario creare un quadro normativo che promuovesse la ricerca e la tecnologia per favorire l’accesso alle innovazioni terapeutiche tenendo conto delle carenze del mercato e delle lacune evidenziate dalla pandemia di Covid 19. Questo nuovo quadro normativo avrebbe dovuto affrontare alcuni problemi prioritari:
- garantire ai cittadini l’accesso ai farmaci a prezzi accessibili e dare risposte a bisogni sanitari non soddisfatti, ad esempio per quanto riguarda la resistenza agli antibiotici, i tumori e le malattie rare;
- favorire la competitività, la capacità di innovazione e la sostenibilità del comparto farmaceutico dell’Unione Europea, incentivando la produzione di medicinali di alta qualità, sicuri, efficaci e a basso impatto ambientale;
- migliorare i meccanismi di preparazione e risposta alle crisi, predisponendo catene di approvvigionamento diversificate e affidabili, in grado di affrontare le carenze di farmaci;
- assicurare una posizione forte dell’Unione Europea sulla scena mondiale, promuovendo standard elevati in termini di qualità, efficacia e sicurezza.
L’individuazione di questi problemi prioritari significava evidentemente che il sistema vigente non garantiva costi accessibili per i farmaci, non dava risposte a importanti bisogni di salute, non favoriva l’innovazione, non permetteva né lo sviluppo di farmaci di qualità né un’adeguata preparazione delle risposte alla crisi. Si trattava di questioni non da poco, che sembravano richiedere una profonda azione di riforma.
Successivamente alla pubblicazione della strategia, si è aperta una fase di consultazione pubblica, in cui sono stati sollecitati commenti, suggerimenti e indicazioni da parte di tutti i potenziali portatori di interessi. Hanno partecipato quasi 500 soggetti di vario tipo: istituzioni accademiche, agenzie sanitarie, industrie farmaceutiche, rappresentanti degli utenti, forze politiche e sindacali, organizzazioni di cittadinanza attiva, associazioni scientifiche e professionali, operatori socio-sanitari e anche semplici cittadini singolarmente. Questa fase si è svolta da marzo a dicembre del 2021 ed è stata seguita da ulteriori approfondimenti con indagini mirate, interviste e seminari tematici fino a marzo del 2022. Ai documenti inviati spontaneamente se ne sono aggiunti altri da parte del Gruppo di Lavoro sul futuro della scienza e tecnologia del Parlamento Europeo e successivamente sono stati commissionati due studi sulla valutazione d’impatto delle varie proposte (European Parliament, 2023a).
A conclusione delle valutazione di impatto gli esperti hanno individuato come soluzione realistica quella di basare la nuova direttiva su una combinazione tra una leggera riduzione per le aziende farmaceutiche dei diritti di esclusività derivanti dalla protezione brevettuale e una serie di incentivi per favorire comportamenti virtuosi garantendo un rafforzamento e un’estensione di questi diritti, permettendo anche il trasferimento dell’esclusività da un farmaco a un altro, in cambio da parte delle aziende di una maggiore trasparenza sui finanziamenti pubblici ricevuti per la ricerca, della promozione studi clinici competitivi, dello sviluppo di nuovi farmaci verso settori dove c’era maggiore necessità di innovazioni, come il contrasto della resistenza agli antibiotici, i generici e i biosimilari, della riduzione dell’impatto ambientale dei farmaci. Venivano anche ritenuti utili un’accelerazione dei tempi per le autorizzazioni al commercio dei farmaci, con una semplificazione delle procedure e una riduzione del carico burocratico. Era quindi evidente la scelta di consigliare l’introduzione di correttivi relativamente modesti anziché di un’ampia revisione delle regole che governavano il settore farmaceutico, come sembrava richiedere la strategia delineata nel 2020.
Accettando queste considerazioni, alla fine è stata approvata nell’Aprile 2023 la proposta di una direttiva da trasmettere al Parlamento (Commissione Europea, 2023). Benché sia stata definita come la più grande e ambiziosa riforma del settore farmaceutico degli ultimi venti anni (De Morpurgo e Landolfi, 2023), l’impianto complessivo non si discostava dalle conclusioni della valutazione d’impatto, riservando le innovazioni solo a una serie di aspetti specifici o settoriali. La durata standard dei diritti di esclusività veniva ridotta dagli attuali otto a sei anni. Di fatto però la durata effettiva è oggi dieci o undici anni, grazie a una serie di meccanismi aggiuntivi che entrano in vigore quasi sempre. Le nuove regole la porterebbero fino a dieci e a un massimo di dodici anni se vengono soddisfatte una serie di condizioni. Altre disposizioni riguardavano un ruolo maggiore dell’Agenzia Europea del Farmaco nel fornire un supporto scientifico e regolatorio per lo sviluppo di farmaci prioritari, farmaci orfani e per le malattie rare. Inoltre, le autorizzazioni all’immissione in commercio venivano accelerate, in particolare per i farmaci di maggiore interesse rivolti a bisogni di salute prioritari.
Apparentemente ci si avvicinava alla fine del percorso in cui le indicazioni tecniche dovevano lasciare il passo al dibattito politico. Invece nei mesi successivi il percorso è diventato complesso e contraddittorio. Infatti alla proposta elaborata dalla Commissione si sono sovrapposte altre due iniziative: un rapporto presentato nel Giugno 2023 dal Comitato speciale del Parlamento sulla pandemia di Covid 19 contenente raccomandazioni derivanti dalle lezioni apprese da quel tragico evento (European Parliament, 2023b) e uno studio predisposto su richiesta del Gruppo di Lavoro sul futuro della scienza e tecnologia del Parlamento Europeo da alcuni ricercatori italiani, reso pubblico nell’Ottobre del 2023 (European Parliament 2023c). Questo studio esaminava l’effetto di diversi tipi di politiche regolatorie sulle innovazioni in campo farmacologico, cercando di conciliare i diritti di proprietà intellettuale che dovrebbero incentivare la ricerca delle innovazioni da parte delle aziende attraverso la garanzia della protezione brevettuale con la necessità di sostenere la salute pubblica con l’accesso ai farmaci a costi accessibili per la collettività.
Sia il rapporto sugli insegnamenti derivanti dal Covid che lo studio sulla relazione tra politiche regolatorie e salute pubblica, pur contenendo raccomandazioni rilevanti per la strategia farmaceutica, sembravano ignorare i contenuti della direttiva da poco approvata e davano particolare rilevanza all’unico documento – tra tutti quelli emersi da mesi di consultazioni e dibattiti – che approfondiva una proposta radicale di riforma dei meccanismi di governo del comparto farmaceutico. Si trattava del testo presentato alla Commissione nel Dicembre del 2021 da un gruppo di studio coordinato, nell’ambito del Forum Disuguaglianze e Diversità, da Massimo Florio, Professore di Economia Pubblica nel Dipartimento di Economia, Management e Metodi Quantitativi dell’Università di Milano (Florio, Pancotti, Prochazka, 2021). Un emendamento alla direttiva che includeva esplicitamente questa proposta era stato presentato da un gruppo di deputati socialisti, verdi, di sinistra e cinque stelle ma era stato respinto. Uno spiraglio sul tema si è tuttavia aperto includendo nella direttiva l’indicazione di dare maggiore indipendenza all’Autorità per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie, istituita nell’ambito del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, col compito di creare, coordinare e attuare un programma di sviluppo della produzione, dell’approvvigionamento, dello stoccaggio e della capacità di distribuzione di dispositivi medici prioritari per l’Unione Europea.
È un compromesso indubbiamente lontano dal progetto di Florio, che si basava su una serie di analisi che convergevano sulla sostanziale incapacità del sistema di sviluppo e produzione dei farmaci gestito dalle aziende farmaceutiche di fornire soluzioni innovative per raggiungere obiettivi rilevanti in termini di sanità pubblica nell’ambito di un rapporto costi/benefici accettabile (Mazzucato e Li, 2021). Per quanto riguarda l’Europa numerose indagini hanno mostrato lo scarso potenziale innovativo della maggior parte dei farmaci introdotti sul mercato. Su tutti i 996 nuovi farmaci approvati dall’Agenzia Europea del Farmaco negli ultimi dieci anni solo il 23% offriva reali vantaggi rispetto a quelli già esistenti (Prescrire, 2023). D’altro canto, per alcuni farmaci realmente innovativi le aziende negli ultimi tempi fissano prezzi molto elevati che li rendono poco sostenibili per gli acquirenti sia pubblici che privati (Juth et al, 2021).
Quest’ultimo aspetto finora non ha suscitato grande interesse nell’opinione pubblica, in quanto ha riguardato farmaci di nicchia, destinati a pochi utenti affetti da malattie gravi ma poco diffuse. Ora però lo scenario sta cambiando. Ne è un esempio l’aspro dibattito suscitato dalla recente approvazione accelerata da parte della Food and Drug Administration per l’introduzione sul mercato statunitense del Lecanemab un anticorpo monoclonale di nuova concezione che dai dati resi disponibili sembra efficace nel ridurre in un certo numero di soggetti la progressione della malattia di Alzheimer. La Food and Drug Administration è stata criticata non solo perché sono stati sollevati dubbi sulla qualità degli studi a sostegno della richiesta di approvazione, ma anche per il prezzo concordato con l’azienda produttrice di oltre 26.000 dollari per un anno di terapia, senza considerare i costi indotti del monitoraggio. Considerando che il farmaco va assunto per molti anni, numerosi critici hanno osservato che con un costo simile il trattamento sarebbe di fatto riservato a fasce di popolazione ad alto reddito (Bradshaw et al, 2024), a fronte di almeno sei milioni di potenziali fruitori di questa terapia negli USA. Un caso che sembra ulteriormente confermare la subalternità delle agenzie regolatorie agli interessi dell’industria.
L’European Medicines Agency, nell’affrontare la richiesta dell’azienda produttrice di autorizzare il farmaco nell’Unione Europea, ha assunto per ora un atteggiamento prudente e ha respinto la richiesta ritenendo insufficienti le dimostrazioni di efficacia rispetto a rischi elevati di effetti collaterali. La questione però si riproporrà tra non molto in quanto probabilmente la richiesta verrà ripresentata. Se si tiene conto dei milioni di cittadini europei destinatari di questa terapia si capisce che il costo non è un aspetto trascurabile, ma investe un segmento importante di popolazione a cui sarà difficile fare accettare la rinuncia a curarsi per una malattia devastante. È presumibile che nel prossimo futuro problemi simili si porranno per altri prodotti in campo neurologico e oncologico.
In sostanza la ricerca farmacologica è minata da una contraddizione insanabile fra le priorità della scienza, della salute pubblica come bene comune e l’orientamento dell’industria alla realizzazione del profitto nel breve periodo. Questa contraddizione, secondo il progetto del Forum Disuguaglianze e Diversità, oltre a richiedere un approccio più aggressivo e coordinato dei governi europei nelle trattative con le aziende sui prezzi, va affrontata con una radicale scelta politica: una grande azienda pubblica europea che governi la filiera su cui si fonda l’intero ciclo del farmaco, a partire dalla ricerca indipendente, sia di base che clinica, fino allo sviluppo, alla produzione e alla distribuzione dei prodotti. Come aveva proposto Mazzucato, si tratta di scegliere il market shaping anziché il market fixing, cioè non di intervenire sul mercato attraverso una serie di regolazioni fatte di incentivi e correttivi, ma di modificare il mercato con l’intervento di un soggetto pubblico che attragga ricercatori di varie discipline e decida le sue priorità in base alle indicazioni della comunità scientifica, dei servizi sanitari pubblici e dei bisogni di salute della popolazione, riservandosi la proprietà intellettuale dei propri prodotti per metterli in commercio a prezzi calmierati e concedendo licenze e diritti di produzione ai paesi a basso reddito nel quadro di un’equa politica di cooperazione internazionale.
La fattibilità del progetto sarebbe garantita da un trattato istitutivo tra i governi dell’Unione Europea con l’allocazione di un bilancio annuo delle stesse dimensioni di quello del National Institute of Health degli USA, tra lo 0,1 e lo 0,2% del Prodotto Interno Lordo dell’Unione, che darebbe vita a una delle più grandi infrastrutture pubbliche di ricerca biomedica del mondo e al tempo stesso a una grande impresa del settore, in grado di fare concorrenza in modo trasparente alle aziende multinazionali private. A livello produttivo potrebbe concentrarsi su ciò che il settore privato non fa o fa a prezzi insostenibili, sfidando e contrastando così l’oligopolio farmaceutico sul suo terreno, senza la necessità di ricorrere alla nazionalizzazione. (Florio e Iacovone, 2020).
Senza entrare in troppi dettagli del progetto, basti dire che si tratta evidentemente di un’impresa di ampio respiro, che richiede una volontà e una visione politica di alto livello. Sarebbe ingenuo sottovalutarne le difficoltà per la sua realizzazione, ma è significativo che sia il rapporto sulle lezioni apprese dall’esperienza della pandemia, sia lo studio sull’impatto delle politiche regolatorie sulla sanità pubblica vi facciano esplicito riferimento. Il rapporto sulle lezioni da trarre dalla pandemia tra le sue molteplici raccomandazioni chiedeva:
«Alla Commissione e agli Stati Membri di creare un’infrastruttura pubblica per la ricerca e lo sviluppo che operi su larga scala nell’interesse pubblico per la produzione di farmaci e dispositivi medici di importanza strategica per i servizi sanitari, in assenza di produzioni industriali esistenti e per sostenere l’Unione a superare i fallimenti del mercato, garantire la sicurezza nelle forniture dei farmaci evitando le situazioni di carenza e contribuendo a una maggiore preparazione nell’affrontare pericoli ed emergenze per la salute pubblica».
Lo studio sugli effetti delle politiche regolatorie sulla sanità pubblica prendeva in esame cinque opzioni possibili per migliorare la situazione insoddisfacente dell’Unione a questo riguardo. Una di queste opzioni era:
«L’istituzione di un’infrastruttura pubblica per la ricerca e lo sviluppo, focalizzata sui bisogni sanitari insoddisfatti per mettere in connessione gli investimenti in ricerca e sviluppo con le esigenze della sanità pubblica e stimolare la disseminazione dei risultati delle ricerche. Questa infrastruttura pubblica potrebbe anche essere attiva nella conduzione di studi clinici controllati di superiorità e studi di riutilizzo».
Gli estensori del documento, pur dicendo che questa opzione rappresenterebbe una sfida in termini di tempi e capitali iniziali per la sua realizzazione, chiedevano che venisse presa, in tutto o in parte, in considerazione per il suo potenziale innovativo.
La partita non è dunque chiusa e la riforma del settore farmaceutico europeo deve ora passare all’esame del Consiglio e del Parlamento europeo usciti dalle recenti elezioni. È improbabile che venga approvata prima del 2025 e che diventi applicabile prima del 2027. Inoltre, la transizione al nuovo regime, qualunque esso sia, richiederà l’adozione di varie misure transitorie e attuative. È tuttavia una partita che vale la pena di affrontare per le forze progressiste e per tutti coloro che nella società civile si battono per la difesa e il rilancio della sanità pubblica in chiave europea. Nei programmi con cui i vari gruppi politici si sono presentati alle elezioni europee la proposta di creare un’azienda pubblica per la produzione dei farmaci è citata, con varie sfumature, dai socialisti, dalla sinistra e dai verdi, ma trova anche una rispondenza in alcuni settori dei popolari.
D’altronde l’importanza di questo progetto è stata compresa rapidamente da chi vuole avversarlo. La Federazione Europea delle Industrie Farmaceutiche ha inviato alla commissione un documento molto critico su qualunque decisione che metta in discussione, anche in modo limitato e parziale, i meccanismi brevettuali e gli incentivi per le aziende (European Federation of Pharmaceutical Industries and Associations, 2023) e ha trovato una sponda in esponenti dei partiti di centrodestra tra i parlamentari europei, che nell’Ottobre dello scorso anno avevano ottenuto la rimozione dal sito del Parlamento dello studio “Improving public access to medicines while promoting pharmaceutical innovation”, che conteneva la valutazione positiva della proposta di Florio, col pretesto che non era stato discusso. Una serie di proteste provenienti da ricercatori, esperti di sanità pubblica, organizzazioni della società civile e parlamentari ha ottenuto l’annullamento di questa decisione e lo studio è stato rimesso sul sito, in una versione che conteneva anche le obiezioni di alcuni politici conservatori e le repliche degli autori.
Bisognerà seguire con attenzione tutti gli sviluppi in tal senso del dibattito europeo. È una sfida a cui non dobbiamo sottrarci.
Referenze bibliografiche
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